Roma, 6 mar. (askanews) – Nel 2022 – a causa del rallentamento dell’economia, dell’aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse, dell’incertezza sul futuro – sono nate in Italia solo 89.192 “vere” nuove imprese, cioè il 10,6% in meno (10.587) rispetto al 2021 e in calo (-5,9%) anche sul 2019, quando per la prima volta si è invertito un trend positivo che durava dal 2013. Questo non potrà che avere un impatto negativo sull’economia complessiva, perché le start-up – come rivela una specifica analisi storica sui bilanci – negli ultimi 15 anni sono state il motore della crescita occupazionale: solo nel 2021 hanno generato un contributo netto di 343.000 addetti su un totale di 535.000, e persino nel 2020 hanno garantito un saldo occupazionale positivo di 185.000 unità. Le mancate nascite del 2022 rischiano dunque di tradursi in 27.080 addetti in meno e in un calo di 2,5 miliardi di fatturato, perché le nuove società apportano ricchezza, dinamismo e competitività al sistema, essendo caratterizzate da maggiore propensione per l’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie, un’età media del management più bassa e maggiore attenzione ai temi di sostenibilità. A dirlo è lo studio “Le imprese nate nel 2022 e il contributo economico delle start-up” condotto da Cerved, la tech company che aiuta il Sistema Paese a proteggersi dal rischio e crescere in maniera sostenibile.
I risultati integrano i dati sulle registrazioni di nuove imprese con un ampio database di informazioni e algoritmi proprietari. La flessione di nascite più marcata rispetto al 2021 riguarda le utility (-28,9%), mentre reggono meglio le costruzioni (-5,8%): a livello disaggregato, pesanti contrazioni si sono registrate nei settori della gestione dei rifiuti e della vendita di gas, mentre sono addirittura aumentate le nuove imprese nelle tecnologie per le telecomunicazioni, il facility management e la cantieristica.
L’area geografica più colpita è Sud e Isole, dove le startup rappresentano storicamente la maggiore fonte di creazione di nuova occupazione (il 32% nel 2021), al contrario l’impatto minore si è osservato nel Nord Ovest (-8,2%), anch’esso dipendente dalle imprese giovani (34% del saldo occupazionale netto). Nord Est e Centro si assestano entrambi sul -10,1%.
“Lo sviluppo di nuova impresa è un indicatore chiave per monitorare la congiuntura economica e il dinamismo di settori e territori – afferma Andrea Mignanelli, Amministratore Delegato di Cerved -. Dai nostri dati emerge che il peggioramento delle aspettative dovuto a guerra, crisi energetica e inflazione ha frenato l’iniziativa imprenditoriale. I tassi di natalità nel 2022 risultano infatti in netta flessione, con un saldo negativo di circa 10 mila nuove imprese. Il calo delle nascite è un segnale da non trascurare: le start-up sono una leva di trasformazione del nostro sistema economico, apportano idee innovative, tecnologia e competitività. La ricerca mette in luce un ulteriore elemento: le start-up rappresentano il più importante driver di crescita occupazionale della nostra economia, nel 2021 hanno contribuito alla net job creation con un saldo positivo di 343 mila addetti, un valore pari a circa i due terzi del saldo occupazionale netto complessivo. In base alle nostre stime, il calo delle nascite nel 2022 si tradurrà in 27 mila addetti e 2,5 miliardi di fatturato persi.”
Entrando più nel dettaglio sulla stima dell’impatto che il calo di start-up del 2022 potrebbe avere sui diversi settori dell’economia, le più colpite rischiano di essere le utility (-117 milioni di euro di fatturato e -60,1% di addetti, a causa di 460 nuove nascite in meno), seguite dalle aziende agricole (-74,9 milioni di euro, -39,8% di addetti, -407 start-up), dai servizi (-1.967 milioni di euro, -14.6% di addetti che però in cifra assoluta si traducono in ben 19.000 persone, – 7.945 start-up), dall’industria (-160 milioni di euro, -12,8% di addetti, -691 start-up) e infine dalle costruzioni (-193,6 milioni di euro, -10% di addetti, -1.135 start-up), che avevano visto un vero e proprio boom nel 2021 grazie ai vari bonus edilizi. In totale, 27.080 lavoratori stimati in meno e una perdita di fatturato di oltre 2,5 miliardi di euro.
In cifra assoluta, nel Mezzogiorno le nuove imprese sono passate da 33.130 nel 2021 a 28.759 nel 2022 (-13,2%), al Centro da 24.612 a 22.128 (-10,1%; stessa percentuale del Nord Est, da 15.609 a 14.033), nel Nord Ovest da 26.428 a 24.272 (-8,2%). A livello regionale, la Valle d’Aosta segna il calo minore di nascite di imprese (-2%), mentre le Marche quello peggiore (-20%), a causa della crisi che ha investito i distretti del manifatturiero a partire dalla moda e dalle calzature. In valori assoluti, invece, sono la Campania (-1.484 aziende), la Lombardia (-1.366) e il Lazio (-1.325) ad avere subìto i cali più consistenti. Al Nord, la regione più impattata è il Trentino-Alto Adige (-14%).
Analizzando le grandi città, si vede invece come Milano sia quella più dinamica, con un calo di “sole” 358 nuove imprese rispetto al 2021 (-3,9%), seguita da Genova (67, -8,1%) e Roma (906, -8,6%), mentre le successive hanno comunque un saldo negativo a due cifre: Palermo (101, -10,8%), Bologna (122, -14%) Torino (271, -14%), Napoli (424, -14,2%), Messina (37, -14,3%), Bari (113, -14,6%), Firenze (127, -14,9%), Venezia (56, -15,1%), Catania (111, -16,3%), Reggio Calabria (31, -16,9%), Cagliari (87, -18,4%).
Lo studio sui macro-comparti rivela che solo le startup delle costruzioni (pur diminuite del 5,8% a confronto con il 2021) registrano nel 2022 livelli più alti rispetto al 2019 (+22,9%), mentre il record negativo è stato segnato lo scorso anno dalle newco delle utility (-28,9% sul 2021, poco sotto al livello del 2019), seguite da quelle delle aziende agricole (-22,3% sul 2021 e -20,9% sul 2019). L’industria si è assestata a -12,6% (-23,6% rispetto al 2019), i servizi a -11,3% (-10,5% sul 2019). Quanto al contributo positivo alla crescita occupazionale, l’analisi storica sull’andamento degli ultimi 15 anni condotta da Cerved evidenzia che nel 2021, a fronte di un saldo netto complessivo di 343.000 addetti, a farla da padrone sono state le startup dei servizi, con 230.000 addetti (il 67% del totale), seguite dalle costruzioni con il 20% (nel 2019 contribuivano per il 12%); l’industria è scesa invece dal 15% del 2019 al 10% del 2021.
Venendo ai singoli settori, in cima alla top 10 dei più performanti troviamo le tecnologie per telecomunicazioni, spinte dagli investimenti del PNRR in digitalizzazione, che salgono dalle 21 startup del 2021 alle 55 del 2022 (+96,4%), il facility management, che ha goduto della ripresa di utilizzo delle strutture dopo il calo dovuto al Covid (da 128 a 197 startup, +53,9%), la cantieristica (da 272 a 325, +19,5%) e gli impianti per l’edilizia (da 2451 a 2771, +13,1%), trainati dalla domanda generata dal PNRR. Al contrario, tra i peggiori 10 ci sono la gestione dei rifiuti (da 225 a 108 startup, -52%), la vendita di gas (da 144 a 76, -47,2%), su cui ha pesato l’incertezza sul prezzo, i prodotti da forno e la pasticceria industriale (da 457 a 251, -45,1%), i trasporti marittimi (da 89 a 51, -42,7%) e la produzione di ortofrutta (da 753 a 468, -37,8%), che ha sofferto l’aumento del costo delle sementi, dei prodotti in metallo/plastica per l’agricoltura e dei fertilizzanti.