Roma, 6 dic. (askanews) – “A destra da sempre”, sempre ligio alla disciplina di partito, fedelissimo di Giorgia Meloni. Così viene descritto Tommaso Foti, il successore di Raffaele Fitto come ministro per gli Affari europei, il Pnrr e la Coesione. Quasi un “premio alla carriera” per questo orgoglioso piacentino, interista sfegatato, che nella sua lunga carriera politica ha più volte sfiorato incarichi di primo piano, salvo poi restarne escluso. In realtà l’idea di Meloni sarebbe stata quella di tenersi l’interim dei rapporti con Bruxelles, una scelta che però le è stata “sconsigliata” dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (e dagli “appetiti” degli alleati Lega e Forza Italia). Dunque la premier ha messo in atto la tecnica già usata per la successione di Gennaro Sangiuliano: dimissioni di Fitto e nomina immediata di Foti, senza dare spazio a eventuali discussioni interne alla maggioranza.
Nato il 28 aprile 1960, diploma di liceo scientifico, con una buona “familiarità” con l’inglese, Foti (“Masino”, per gli amici) è un parlamentare di lunghissimo corso, con sei legislature alle spalle. Il suo impegno politico, nella regione “rossa” per eccellenza, l’Emilia Romagna, inizia nel “Fronte della gioventù”, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano. Il suo primo ispiratore fu Carlo Tassi, deputato missino e avvocato molto apprezzato, ricordato anche per indossare sempre la camicia nera, per una “promessa” – raccontava lui stesso – fatta da bambino a Benito Mussolini. Per il Msi viene eletto nel settembre del 1980 consigliere comunale di Piacenza, ruolo che ricopre fino al 1994. Proprio nel 1994 partecipa alla fondazione di Alleanza nazionale, il partito creato da Gianfranco Fini. Nel 1996 viene eletto in Parlamento e nella primavera del 2009 partecipa alla fondazione del partito unitario del centro-destra Il Popolo della Libertà. Da questo però si stacca nel 2012, quando è tra i fondatori di Fdi, insieme a Meloni, Guido Crosetto, Ignazio La Russa, Fabio Rampelli. Con i Fratelli d’Italia si candida nel 2013, ma non viene eletto (del resto era ancora un ‘partitino’). Eletto invece nel 2018, quando assume l’incarico di vice capogruppo vicario alla Camera, nell’attuale legislatura è stato eletto capogruppo. Fino alla “promozione” a ministro.
Descritto come “spigoloso” ma capace di mediazioni al momento opportuno, Foti ha sicuramente l’esperienza per gestire alleati e tecnici con cui avrà a che fare per la gestione del Pnrr e dei fondi di coesione. Quel che manca pare essere invece un profilo di stampo europeo e internazionale e la consuetudine con i meccanismi di Bruxelles. A proposito di Europa, recentemente ha espresso la sua contrarietà al green deal “che rischia di ridurre a ben poco l’industria europea. La rivoluzione verde porterà povertà è disoccupazione. Il buon senso prima delle ideologie suggerisce di fermarsi in tempo”. Così come a una impostazione economica fatta solo di “virgole o logaritmi”. Per questo, prima delle elezioni europee, aveva auspicato “un’alleanza di centrodestra anche in Europa”. Anche quando ci fu da votare in Parlamento la ratifica del Mes (bocciata) aveva espresso la “ferma contrarietà” del partito, anche perchè “se ci viene posto come un prendere o lasciare, più che un trattato o un accordo a me appare come un diktat”.
Pur tenendo uno stile sempre istituzionalmente corretto, ogni tanto gli è scappato qualche ‘scivolone’ come quando il 25 aprile 2020 – nel giorno della festa della liberazione – pubblicò una sua foto in cui indossava una mascherina nera con il motto mussoliniano “Boia chi molla”. Un post che accese le polemiche e portò alcune opposizioni a chiederne le dimissioni. Lui lo rimosse, spiegando di essere stato equivocato e di voler semplicemente intendere che anche quel giorno era regolarmente al lavoro.
di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli