Roma, 29 nov. (askanews) – Altro che obiettivi ambiziosi, cambio di paradigma, coraggiose assunzioni di responsabilità, chiamata alle armi, come era stato cinque anni fa con il ‘Green Deal’: il discorso con cui Ursula von der Leyen doveva convincere la maggioranza del Parlamento europeo a votare la fiducia alla sua nuova Commissione, il 27 novembre a Strasburgo, è stato poco ispirato e poco convincente, per nulla straordinario, stanco, senza visione, senza un progetto faro che mostri la rotta.
Una nuova versione del Patto verde proposta da von der Leyen, il ‘Clean Industry Act’, di cui non si conoscono ancora i contenuti, sarà probabilmente solo un tentativo di semplificare e forse anche deregolamentare l’attuazione delle norme già approvate per la transizione verde, e con pochi fondi, visto che la presidente della Commissione non vuol neanche sentir parlare di nuove emissioni di debito comune.
L’impegno di ‘mantenere la rotta’ sul Green Deal verrà presto smentito dalle iniziative per annacquare e ritardare l’attuazione del regolamento sulla riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli (con l’obiettivo del loro azzeramente nel 2035), e da un probabile stravolgimento della normativa Cbam (‘Carbon Border Adjustment Mechanism’), che prevede l’introduzione graduale, dal 2026 al 2034, di ‘dazi climatici’ all’importazione nell’Ue di energia e altri prodotti delle industrie energivore come cemento, acciaio, chimica e fertilizzanti, da paesi che non hanno sistemi equivalenti all’Ets, la ‘borsa’ europea dei permessi di emissione.
Un grande progetto per i prossimi cinque anni di mandato, in realtà, von der Leyen lo avrebbe già sul tavolo, se davvero intendesse dare seguito integralmente, con misure concrete, ambiziose e conseguenti ai rapporti Draghi e Letta sul futuro della competitività europea e sull’ulteriore sviluppo del mercato unico, senza utilizzarlo come un menu ‘à la carte’, da cui prendere solo alcune cose a scelta, ignorando o scartando le altre.
Ma si può già prevedere che mancherà la volontà politica, da parte della Commissione e degli Stati membri, di concretizzare finalmente una vera e propria politica industriale dell’Ue, e mancheranno i finanziamenti, sia pubblici che privati, per finanziare gli ingenti investimenti necessari alla transizione verde restando competitivi, secondo le raccomandazioni di Mario Draghi. Alla fine, si può prevedere, sarà ripresa soprattutto la raccomandazione (giusta) di semplificare gli oneri burocratici per le imprese, interpretata però (in modo sbagliato) come un appello alla deregolamentazione.
Intanto, si prepara lo scontro tra le due componenti della ‘maggioranza Ursula allargata’ che ha votato eccezionalmente la fiducia, quella di centro sinistra (S&D e Renew e Verdi) e quella di centro destra (Ppe ed Ecr), un vero e proprio unicorno che difficilmente si riproporrà nei voti sulla legislazione europea. Rivedremo la ‘maggioranza Venezuela’, ovvero da un’alleanza Ppe-Ecr appoggiata dall’esterno con i voti dei gruppi di estrema destra dei Sovranisti (Esn) e dei ‘Patrioti’ (Pfe) innanzitutto ogni volta che si presenterà un’occasione di fare marcia indietro sul Green Deal, ma presto anche e soprattutto sui temi dell’immigrazione e asilo.
La nuove proposte legislative della Commissione per una nuova direttiva sui rimpatri e per una nuova lista comune dei ‘paesi terzi sicuri’, essenziali per l’esternalizzazione della gestione della politica migratoria comunitaria, saranno presentate entro giugno. La Commissione, secondo quanto ha fatto capire von der Leyen, proporrà la possibilità di deportare nei paesi terzi sicuri non solo i migranti irregolari senza il diritto alla protezione internazionale e in attesa di rimpatrio (‘return hub’), ma anche quelli che invece avrebbero diritto all’asilo nell’Ue. Sarà una nuova versione del ‘modello Ruanda’, adattata per tener conto del precedente ‘modello Turchia’. E sarà una sconfitta storica per il centro sinistra e per la fantomatica ‘maggioranza europeista’ con il Ppe, in cui ancora vogliono credere i Liberali, i Socialisti e i Verdi che hanno appoggiato la fiducia a von der Leyen.
I numeri del voto di fiducia alla nuova Commissione
Il voto di Strasburgo per la nuova Commissione europea alla fine è andato benone: la fiducia è passata con un’ampia maggioranza: 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astensioni pari al 51,46% (su 719 seggi totali, ma il 53,77% rispetto ai 688 eurodeputati presenti in aula).
Chiariamo subito che, al contrario di quanto alcuni hanno osservato nella stampa italiana, non si tratta di una maggioranza di ‘soli nove voti’, che si riferirebbe alla soglia della maggioranza assoluta di 361 voti. A parte che quella soglia oggi è in realtà di 360 voti, perché un seggio (spagnolo) dei 720 totali non è ancora stato assegnato, bisogna precisare che per la fiducia alla Commissione è prevista l’approvazione della plenaria con la maggioranza relativa dei votanti, e dunque senza alcuna soglia: basta che vi sia anche solo un voto favorevole in più rispetto ai voti contrari. Von der Leyen, dunque, ha vinto non con nove voti di scarto rispetto a una soglia inesistente, ma con 88 voti di vantaggio rispetto ai ‘no’.
Resta il fatto politicamente significativo, sebbene tecnicamente senza conseguenze, che numericamente è stato il peggiore risultato per una nuova Commissione fin da quando esiste il voto di fiducia del Parlamento europeo, istituito dal Trattato di Maastricht e applicato la prima volta nel 1995, con la Commissione di Jacques Santer, che ebbe 417 voti favorevoli su 626 seggi totali, il 66,61%. Romano Prodi nel 1999 ebbe l’81,46% (510 voti su 626 seggi), José Manuel Barroso il 65,30% nel 2004 (478 su 732), ancora Barroso nel 2010 ebbe il 66,30% (488 su 736), Jean-Claude Juncker nel 2014 il 56,32% (423 su 751), e la stessa von der Leyen nel 2019 arrivò al 61,63% (461 su 748).
Ed è stata anche la prima volta che il numero di ‘sì’ alla fiducia per il nuovo collegio dei commissari è stato inferiore a quello con cui era stata ‘eletta’ la sua presidenza: la Commissione von der Leyen II ha ricevuto 31 voti in meno rispetto ai 401 che la presidente von der Leyen aveva ricevuto dalla plenaria di Strasburgo a luglio, per il suo secondo mandato.
Inoltre, ci sono state molte defezioni (il voto era nominale, non segreto) nel voto di fiducia dei tre gruppi centrali della vecchia ‘maggioranza Ursula’, soprattutto nel Ppe (25 contrari, quasi tutti spagnoli, e due astenuti) e nei Socialisti e Democratici (25 contrari, soprattutto francesi e 18 astenuti, soprattutto tedeschi), meno in Renew (sei astenuti); mentre i due gruppi ‘laterali’ opposti, Verdi e Conservatori dell’Ecr, come ci si attendeva, hanno appoggiato la fiducia con circa la metà dei loro eurodeputati: i Verdi con 27 favorevoli, 19 contrari e sei astenuti, e l’Ecr con 33 favorevoli (tra cui i 24 italiani di Fdi), 39 contrari (soprattutti i polacchi del Pis), e quattro astenuti.
di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese