Milano, 22 nov. (askanews) – Nel 2023 i matrimoni sono stati 184.207, in diminuzione rispetto all’anno precedente (-2,6%); il calo è stato più consistente nel Mezzogiorno (-5,8%) rispetto al Nord (-0,3%), in posizione intermedia il Centro (-1,3%). I dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 mettono in luce una ulteriore diminuzione (-6,7%), a conferma di un ridimensionamento della nuzialità che negli ultimi quarant’anni non ha conosciuto soste, al netto di alcuni momenti storici duranti i quali il numero dei matrimoni ha mostrato andamenti altalenanti in relazione a fenomeni di tipo congiunturale. A rilevarlo è il report “Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi” dell’Istat.
Nel 2000 si rilevò un aumento dei matrimoni da collegare al desiderio di celebrare le nozze all’inizio del nuovo millennio. All’opposto, nel triennio 2009-2011, il calo fu particolarmente accentuato per il crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo. Inoltre, non va dimenticata la crisi economica del 2008 il cui impatto produsse effetti sui comportamenti nuziali delle coppie. Infine, nel 2020 si è assistito a un dimezzamento del numero dei matrimoni per effetto della pandemia da Covid-19 (e delle sue misure di contenimento) che ha visto molte coppie posticipare le nozze, in parte poi celebrate nel successivo biennio 2021-2022. Nel 2023 i 139.887 primi matrimoni mostrano, se confrontati con l’anno precedente, una diminuzione del 4,3%, più consistente rispetto a quella del totale dei matrimoni (-2,6%). Nel 2023 la quota dei primi matrimoni rispetto al totale delle celebrazioni è pari al 75,9%, evidenziando un netto calo anche rispetto al 79,4% del 2019 (anno in cui il numero di matrimoni totali era stato simile a quello del 2023).
La diminuzione tendenziale dei primi matrimoni, al netto delle oscillazioni di breve periodo, è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio). Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2022-2023 (da circa 440mila a più di 1 milione e 600mila), un incremento da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili. Sul piano tendenziale, uno dei motivi per il quale la primo-nuzialità in Italia arretra si deve alla trasformazione del processo di transizione alla vita adulta. Quest’ultima oggi segue percorsi diversi rispetto al passato, quando il motivo prevalente di uscita dal nucleo di origine era legato alla formazione di una nuova famiglia attraverso le nozze.
Secondo i dati dell’Indagine Famiglie e soggetti sociali (2016) tra le generazioni di uomini nate tra il 1982 e il 1986 la convivenza more uxorio è preferita al matrimonio (22,5% contro 21,8% di chi lascia la casa dei genitori entro i trent’anni); seguono le altre motivazioni quali, per esempio, lavoro, studio e autonomia. Tra le donne, l’uscita dalla famiglia di origine si concretizza in via preponderante tramite il matrimonio (40% tra le nate negli anni Ottanta), seguita dalla convivenza, con percentuali via via crescenti di generazione in generazione.
Negli ultimi decenni, inoltre, il ridimensionamento numerico delle nuove generazioni, dovuto alla bassa fecondità, che dalla metà degli anni Settanta si è sempre mantenuta ben sotto il livello di sostituzione, sta producendo un effetto strutturale negativo sui matrimoni. Man mano che le generazioni più giovani, meno numerose di quelle dei genitori, entrano nella fase adulta della vita si riduce la numerosità della popolazione in età da matrimonio e, di conseguenza, anche a parità di propensione a sposarsi, cala inesorabilmente il numero assoluto di nozze.