Roma, 21 nov. (askanews) – Su 100 euro spesi dal consumatore per l’acquisto di prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro remunerano il valore aggiunto degli agricoltori, ai quali, sottratti gli ammortamenti e i salari, resta un utile di 7 euro, contro i circa 19 euro del macro-settore del commercio e trasporto. Per i prodotti trasformati, che implicano un passaggio in più dalla fase agricola a quella industriale, l’utile dell’agricoltore si riduce a 1,5 euro, solo di poco inferiore a quello dell’industria, pari a 1,6 euro, contro i 13,1 euro del commercio e trasporto.
Lo si legge nella analisi della catena del valore, realizzata da Ismea sulla base dei dati più recenti dell’Istat e illustrata oggi nell’ambito della presentazione del Rapporto Agroalimentare 2024.
L’ approfondimento sulla filiera della pasta e su quella della carne bovina ha messo in luce una situazione di sofferenza, con margini particolarmente compressi, se non addirittura negativi, per le aziende agricole e gli allevamenti, mitigati solo dal sostegno pubblico, attraverso la Pac e gli aiuti nazionali.
Nella catena del valore della pasta, i costi di produzione del frumento duro rappresentano una quota molto elevata (36%) del valore finale al consumo. Sia in presenza di bassi prezzi della granella, come nel 2017, sia di valori quasi doppi nel 2023, i costi unitari a carico delle aziende agricole sono sempre risultati più elevati dei prezzi di vendita, con conseguenti valori negativi del reddito operativo. Nella filiera della pasta è soprattutto il margine della distribuzione a incidere sul prezzo al consumo, con un peso del 30% circa nel 2017, salito al 36% nel 2023.
Anche nella catena del valore della carne bovina la fase più critica è quella dell’allevamento, stretta nella morsa dei costi di approvvigionamento dei capi da ingrasso e dei costi di alimentazione, che nel loro insieme rappresentano oltre il 60% del valore finale del prodotto. La fase primaria è anche quella su cui gravano i maggiori rischi di natura esogena, dovuti ai bassi livelli di autosufficienza per i ristalli e le materie prime. In alcuni anni, come nel 2023, le implicazioni di tale dipendenza sono state particolarmente evidenti, con i costi di allevamento che hanno superato i ricavi generati dalla vendita dei capi, determinando un reddito operativo negativo. La fase dell’industria di macellazione mantiene più o meno la sua redditività (4,5% nel 2022 e 3,1% nel 2023), con una struttura in grado di diversificare il rischio; la distribuzione, infine, funge da cassa di compensazione, ritardando il trasferimento dell’inflazione ai prezzi al consumo, ma assicurandosi un margine lordo di 3,56 euro/kg, che in quota rappresenta quasi il 30% del prezzo finale.