Roma, 18 nov. (askanews) – La linea ufficiale suona così: doveva finire tre a zero e invece, grazie alla riconferma in Liguria, il centrodestra ha impedito il cappotto di Pd & Co. Insomma, il bicchiere mezzo pieno. O anche qualcosa in più, se si considera che il bilancio complessivo da quando è in carica il governo è di 11 regioni a 3.
Eppure, nella maggioranza si mastica amaro per la sconfitta in Umbria (l’Emilia Romagna non è mai stata contendibile). Negli ultimi mesi i sondaggi sembravano confortanti, tanto che – a differenza che nel comizio per Elena Ugolini – Giorgia Meloni è andata fisicamente alla chiusura della campagna elettorale di Donatella Tesei. Non si verifica nemmeno ‘l’effetto Bandecchi: l’accordo chiuso con il sindaco di Terni non è infatti bastato a colmare il distacco e a impedire la vittoria della sindaca di Assisi, Stefania Proietti. Ovviamente c’è sempre il mantra per cui, trattandosi di un voto amministrativo, a incidere sono state le logiche locali: la premier, tuttavia, ha più volte ripetuto che ogni elezione rappresenta sempre un messaggio per chi governa, e poi l’esecutivo in Umbria si è presentato in massa a cominciare dai leader della coalizione.
L’esito di quest’ultima tornata, però, nel centrodestra riapre anche una questione mai sopita: ovvero quella delle prossime elezioni in Veneto dove si vota nel 2025 (insieme a Puglia, Campania e Toscana). Vale la pena fare un passo indietro. La decisione di ricandidare Donatella Tesei risale addirittura a febbraio di quest’anno. Dopo la sconfitta in Sardegna – dove Meloni aveva imposto il ‘suo’ Paolo Truzzo al posto dell’uscente Solinas sponsorizzato dal Carroccio – la maggioranza stabilì che per la tornata regionale di quest’anno avrebbero corso tutti i governatori in carica. Appunto, oltre a Cirio e Bardi di Forza Italia in Piemonte e Basilicata, anche la governatrice in carica dell’Umbria in quota Lega. Si arrivò a quell’accordo non senza qualche frizione e dietro l’insistenza di Matteo Salvini, nonostante i dubbi degli alleati.
Ed ecco che si torna al Veneto. Il ministro dei Trasporti pretende che il candidato sia ancora di sua diretta espressione, ma Fratelli d’Italia da tempo ci ha messo gli occhi sopra. Un po perché i meloniani lì sono stati primo partito alle Politiche, un po perché guidano solo una delle grandi regioni, ossia il Lazio. “E la Lega ora viaggia intorno all’8%”, ricordano. Argomentazione che dal Carroccio respingono: “In Veneto se Zaia potesse ricandidarsi non ci sarebbe discussione, il successore tocca a noi”.
Ma certo la sconfitta in Umbria brucia, in via Bellerio. Tanto che Salvini è l’ultimo a commentare il voto. Giorgia Meloni si è congratulata con i vincitori e ha auspicato collaborazione istituzionale; Antonio Tajani ha rivendicato come Forza Italia abbia “raddoppiato in consensi”. Il leader della Lega si limita a sottolineare che “gli elettori hanno sempre ragione”, garantendo la collaborazione da ministro delle Infrastrutture con i nuovi amministratori. Da FdI osservano però, non senza malizia, che Meloni “si assunse la responsabilità” della scelta – perdente – di non riconfermare Solinas in Sardegna per imporre il suo Truzzu. Frecciata che dal Carroccio rimandano al mittente: “Non sono situazioni paragonabili, la regola della riconferma degli uscenti vige da sempre, nel centrodestra. E quella in Umbria fu una vittoria storica della Lega, il bis non era scontato”.