Roma, 4 ott. (askanews) – Il controllo della crisi è la chiave per l’efficacia delle cure, un principio cruciale anche nelle terapie per l’epilessia: molti farmaci e approcci di terapia genica esistenti riescono a ridurre l’ipereccitabilità neuronale, ma spesso lo fanno in modo troppo invasivo, compromettendo le normali funzioni cerebrali.
Un team di ricerca, cui hanno preso parte ricercatori e ricercatrici dell’Università di Ferrara, sta esplorando nuove strade portando avanti una terapia genica innovativa. Questo approccio introduce un meccanismo di autoregolazione, offrendo un trattamento più sicuro e mirato, con l’obiettivo di un migliore controllo delle crisi. Lo studio è stato pubblicato sul numero di settembre 2024 della rivista EMBOreports.
La nuova terapia si basa su due elementi fondamentali: il neuropeptide Y (NPY) e il recettore Y2. NPY è una sostanza naturale nel cervello che calma l’attività neuronale e aiuta a prevenire le crisi epilettiche. Il recettore Y2, attivato da NPY, amplifica questo effetto calmante. Immaginiamo il cervello come una grande città, dove le cellule nervose sono i cittadini, ciascuno con un compito ben preciso, che collaborano per far funzionare la metropoli. In questo contesto, il NPY è come un “mediatore naturale”, che calma i cittadini più agitati, evitando che la città sprofondi nel caos, ovvero in una crisi epilettica. Per esercitare la sua azione, NPY utilizza una chiave d’acceso specifica: il recettore Y2, che gli permette di interagire con le cellule nervose e svolgere il suo ruolo regolatore. Quando si verifica una crisi epilettica, è come se in una parte della città esplodesse un disordine: i cittadini (le cellule nervose) diventano iperattivi, alimentando una spirale di caos. A questo punto intervengono NPY e il recettore Y2, agendo come un sistema di emergenza, simile a un sofisticato sistema antincendio che spegne le fiamme e riporta l’ordine. Questo delicato equilibrio tra eccitazione e controllo è ciò che mantiene la città-cervello in armonia.
“NPY è importante perché agisce come un ‘calmante’ per le cellule nervose: quando viene rilasciato, aiuta a ridurre la loro attività, contribuendo a prevenire le crisi epilettiche – spiega Michele Simonato, professore ordinario di Farmacologia al Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione di Unife e coautore dello studio -. il recettore Y2 è invece una proteina presente sulla superficie delle cellule nervose, che funziona come un ‘interruttore’ per il NPY. Quando il NPY si lega a questo recettore, Y2 invia un segnale alla cellula, dicendole di calmarsi e di ridurre la sua attività. In sostanza, il recettore Y2 è il tramite che permette a NPY di regolare l’attività delle cellule nervose”.
Il team di ricerca Unife ha messo a punto un sistema ingegnoso: un vettore virale modificato, ovvero un “mezzo di trasporto” sicuro, che ha il compito di introdurre nelle cellule bersaglio (i neuroni) i geni responsabili della produzione di NPY e del recettore Y2. Una volta che queste proteine sono prodotte, si instaura un meccanismo di “autocontrollo”: quando una cellula cerebrale comincia a diventare troppo attiva, cioè quando sta per scatenare una crisi epilettica, rilascia NPY. Questo NPY si lega ai recettori Y2 sulla stessa cellula, inviando il segnale che riduce immediatamente l’attività della cellula, evitando così che la crisi si sviluppi. Questo meccanismo ricorda quello di un termostato, che si attiva solo quando la temperatura (in questo caso l’attività neuronale) supera una certa soglia, mantenendo l’equilibrio all’interno del sistema nervoso.
“Punto di forza di questa nuova strategia terapeutica è proprio il meccanismo di autoregolazione – continua il prof. Simonato -. Grazie al sistema NPY-Y2, si evita un’inibizione eccessiva dell’attività cerebrale, che potrebbe avere effetti negativi sulle funzioni cognitive. Il sistema si attiva solo quando necessario, proprio come un sistema di sicurezza su misura per il cervello. In sintesi, la nostra ricerca ha sviluppato un metodo per regolare l’attività delle cellule cerebrali direttamente dall’interno. Questo approccio potrebbe rappresentare un significativo passo avanti nel trattamento dell’epilessia, soprattutto per i pazienti che non rispondono ai farmaci convenzionali”.