Roma, 2 ott. (askanews) – Nonostante la sconcertante vicenda di Iwao Hakamata, l’uomo che ha trascorso 46 anni nel braccio della morte di una prigione giapponese prima di essere dichiarato innocente da un quadruplice omicidio, il nuovo governo giaponese non sembra intenzionato a riflettere su una possibile abolizione della pena di morte.
Il nuovo ministro della Giustizia Hideki Makihara, da ieri in carica, oggi in una confereza stampa ha affermato che non vedrebbe come una cosa appropriata l’abolizione della pena capitale. “Il ministero della Giustizia ha l’importante missione di mantenere e migliorare il sistema giuridico, fondamentale per proteggere la sicurezza e la tranquillità dei cittadini, contribuendo alla costruzione di una società più luminosa. Voglio adempiere alle mie pesanti responsabilità per il bene del Giappone”, ha detto Makihara.
Riguardo al sistema della pena di morte, ha affermato: “Ci sono opinioni diverse sia a livello nazionale che internazionale, ma la questione della sua abolizione o mantenimento è una questione cruciale che riguarda il cuore del nostro sistema di giustizia penale, e dovrebbe essere considerata con cautela”. E ha aggiunto: “Considerando che crimini efferati continuano a verificarsi, ritengo che l’imposizione della pena di morte sia inevitabile e che l’abolizione non sia appropriata. Tuttavia, l’esecuzione, essendo una decisione estremamente grave che mette fine alla vita di una persona, deve essere presa con molta cautela e sincerità”.
Il Giappone è stato profondamente colpito dalla vicenda di Hakamata. Il mese scorso il Tribunale di Shizuoka, in un’attesa sentenza di revisione, ha assolto l’88enne ex condannato a morte, che era stato indirizzato alla pena capitale per una strage avvenuta 58 anni fa.
Hakamata, che nel sistema giapponese avrebbe potuto essere impiccato ogni giorno senza preavviso, ha trascorso nel braccio della morte 46 anni pur proclamandosi da sempre innocente.
La sentenza Hakamada è la prima volta in 35 anni che un processo di revisione rovescia una condanna a morte e si tratta solo del quinto caso dal dopoguerra.