San Paolo, 17 lug. (askanews) – “Siamo tutti un po’ migranti”. La riflessione che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronuncia al Museo dell’Immigrazione di San Paolo è quasi inevitabile di fronte a un pezzo di storia di un paese, il Brasile, che mentre tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX l’Europa versava in condizioni di povertà e fame, sviluppò politiche di immigrazione per superare la mancanza di manodopera nelle piantagioni di caffè. Una storia che coinvolge milioni di immigrati provenienti dall’Europa, dal Medio Oriente e dall’Asia ma soprattutto una storia che parla italiano. Iniziata nel 1874 con lo sbarco, di cui ricorre il 150mo anniversario quest’anno, dei primi lavoratori provenienti da Genova a bordo del vapore Sofia. I loro discendenti oggi a San Paolo rappresentano la comunità italiana più numerosa del Brasile.
È forte l’influenza italiana nel quartiere Mooca, dove sorge il museo visitato da Mattarella insieme alla figlia Laura, nella terza tappa della sua visita di stato in Brasile. Ospitato nell’edificio della Hospedaria de Imigrantes – attivo fino al 1978 – dove gli immigrati trascorrevano un periodo massimo di otto giorni prima di dirigersi alla loro destinazione finale in Brasile, il museo è una Ellis Island brasiliana a tutti gli effetti. La maggior parte dei migranti, che giungevano qui in treno dal porto più vicino, era italiana: sulle mura del corridoio di ingresso del museo sono ancora ben visibili le istruzioni per quanti arrivavano in cerca di lavoro e fortuna. Ma nel museo sono custodite le tracce di un processo migratorio che ha caratterizzato la storia dell’umanità da sempre. Come la teca dove sono conservati i passaporti di migranti di sedici diverse nazionalità. La guida del museo spiega a Mattarella che a fronte di quanti sono arrivati in Brasile, anche tanti brasiliani sono emigrati. “Siamo tutti un po’ migranti”, è il commento del presidente.
Adiacente al museo, sorge l’Arsenale della Speranza del Sermig, il Servizio missionario giovani, che da 28 anni ogni giorno accoglie 1.200 uomini di strada, i cosiddetti “moradores de rua”, giovani e adulti in difficoltà per la mancanza di una casa, di una famiglia o per problemi di alcol e droga: qui possono trovare non solo un pasto, un posto dove dormire e assistenza medica ma anche una biblioteca con centinaia di libri. L’accoglienza che gli ospiti, i volontari e i sostenitori del centro riservano al presidente Mattarella è calorosa: applausi, cori di “Bem vindo presidente” e uno sventolare incessante di bandierine con la bandiera italiana e quella brasiliana realizzate in occasione della visita del capo dello Stato italiano. Qui Mattarella telefona al fondatore del Sermig, Ernesto Olivero, che qualche giorno prima di partire il capo dello Stato aveva visitato privatamente a Torino.
“Avrei voluto essere lì con voi ma non mi è stato possibile, sono presente con la preghiera e il cuore”, dice Olivero in un video proiettato durante la visita. L’Arsenale della speranza “vuole dare a tutti l’opportunità di vivere con dignità, con il grande desiderio che accada la stessa cosa nel resto del mondo. Non è un sogno, e possibile. Grazie di essere venuto a vedere con i suoi occhi quello che le avevo raccontato in Italia”.
Mattarella omaggia “la lezione di umanità” dell’Arsenale di Torino, di San Paolo e di quello in Giordania. Una lezione “che serve a chiunque mantenere con sé e portare e custodire. Grazie per quello che fate e per quello che avviene qui”. Una lezione che dimostra come “ciascuna persona – ciascun uomo, ciascuna donna – rappresenta un patrimonio irripetibile, unico al mondo. E non c’è nessuno, nessuna persona che sia mai perduta davvero”.