Sorano (Grosseto), 26 giu. (askanews) – “Credo che il Ciliegiolo raddoppierà i suoi ettari nei prossimi 5-10 anni, diventando quindi interessante. Sono convinto che la Maremma, con il suo alfiere che è di sicuro il Vermentino e con il Ciliegiolo, autoctono riscoperto che ci sta dando belle soddisfazioni, possa dire la sua: c’è bisogno di molto impegno perché siamo abbastanza indietro ma questo dobbiamo leggerlo come un’opportunità, bisogna recuperare il terreno velocemente guardando anche a che cosa hanno fatto gli altri e cercando di velocizzare questo processo di modernizzazione anche per come ci si pone sul mercato. C’è la volontà, c’è l’energia e quindi sono convinto che faremo parlare di noi nel prossimo decennio”. A dirlo ad askanews è Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana. Dei circa 1.200 ettari coltivati a Ciliegiolo in Italia, 550 si trovano in Toscana e di questi, 310 sono concentrati proprio in questa terra in provincia di Grosseto, una delle aree più interessanti per questa varietà. In Toscana il Ciliegiolo è al 12esimo posto tra i vitigni più coltivati e rappresenta meno dell’1% del totale, mentre in Maremma è l’ottavo con il 3,4%, ed è il quarto per ettolitri imbottigliati: 3.163, il 6,1% del complessivo (nel 2013 gli hl erano appena 1.216). Oggi se ne producono circa 400mila bottiglie sulle 7 milioni dell’intera Doc Maremma Toscana.
Askanews ha incontrato Mazzei alla Fortezza Orsini di Sorano (Grosseto) in occasione della seconda edizione di “Ciliegiolo di Maremma e d’Italia”, manifestazione promossa dal Consorzio e dedicata alla degustazione di 57 etichette di Ciliegiolo in purezza, 26 provenienti dalla Maremma e le rimanenti da altre zone della Toscana e da Umbria, Marche, Emilia Romagna e Liguria. “Penso che il Ciliegiolo sia un vitigno molto interessante e molto contemporaneo per le sue caratteristiche di identità forte e piacevolezza” prosegue Mazzei, parlando di “un vino che va molto bene soprattutto per le giovani generazioni che cercano un approccio più semplice e chiaro, ma questo non significa che non abbia potenzialità di affinamento, magari grazie ad aziende che hanno fatto più ricerca e che hanno un terroir più adatto per fare anche vini più importanti, complessi e longevi”.
Autoctono toscano storicamente utilizzato nel taglio con altre uve, a partire dal Sangiovese, per dare alcolicità, morbidezza e dolci note fruttate, il Ciliegiolo è stato considerato per anni un vitigno “minore”. La sua riscoperta la si deve alla sua vigoria, alla sua discreta resistenza al caldo e ai climi secchi, e soprattutto alla sua duttilità che ha permesso ai vignaioli di produrlo in purezza, di vinificarlo in bianco per il rosé, di appassirlo e di invecchiarlo con il proposito di donargli un’inedita “allure” attraverso lo scorrere del tempo. Qualcuno ci è indubbiamente riuscito, ma la maggior parte ne ha sostanzialmente snaturato il suo senso primo, che è quello di un vino che il suo massimo lo esprime proprio nella sua immaturità: immediato e fresco grazie alla frutta dolce che riempie la bocca, di bel corpo e dal bouquet ricco, che non manca di una sottile speziatura e di una nota balsamica date direttamente dai suoi acini. Insomma brillante e intrinsicamente gastronomico, piacevolissimo. Delle 57 bottiglie in degustazione nello splendido complesso fortificato del XII secolo, molte erano prodotte in meno di tremila bottiglie e diverse sotto le mille, un numero che lascia un po’ perplessi: “Se uno di Ciliegiolo fa mille bottiglie significa che non ci crede molto: se sei convinto che ci sia un potenziale devi investirci, piantare, reinnestare e via dicendo” interviene Mazzei, sottolineando che “per mille bottiglie non c’è mercato, non ha tanto senso – prosegue – ma vedo che siamo ancora in questa dimensione con tanti produttori, quindi evidentemente il Ciliegiolo è una cosa carina ma ancora un po’ di contorno, salvo alcuni che invece ci si sono concentrati. Vediamo se riusciamo a traghettarla ad una dimensione più interessante”.
Chi nel Ciliegiolo ha certamente dimostrato di crederci è la Cantina Vignaioli di Scansano. Il suo “Capoccia 2023”, “tirato” in 120mila bottiglie, è davvero un ottimo prodotto e con un alto rapporto qualità-prezzo, tema che oggi rappresenta un altro valore aggiunto per il Ciliegiolo e per la Maremma. Inoltre, se controllato nella sua spinta alcolica, è un rosso ideale per andare incontro ai nuovi trend di mercato, e qui fa squadra con il Vermentino, bianco sapido e minerale di grande qualità, che si distingue non solo per la sua grande finezza ma anche per la sua longevità. In Maremma può così capitare quello che una volta sarebbe stato vissuto come un paradosso: poter godere di un rosso d’annata e di un bianco invecchiato. Va ricordato che il Vermentino in Maremma occupa 973 ettati, quasi il doppio di quelli del Ciliegiolo e il 10,6% di quelli totali, ed è sul podio più alto dei vini imbottigliati: 16.161 ettolitri che rappresentano oltre il 31% del globale.
In merito all’ente consortile, il presidente racconta che “stiamo lavorando ad una perimetrazione della Maremma, toccando anche qualche altra zona limitrofa. Oggi si possono fare delle scelte di rivendicazione vendemmiale sull’Indicazione geografica tipica, Toscana piuttosto che Maremma. C’è un bacino piuttosto ampio di Igt dal quale attingere e per questo dobbiamo stabilire qual’è la dimensione territoriale e chiudere la Denominazione, per poi eventualmente riaprirla in futuro. Il Disciplinare dovremo rivederlo – aggiunge – ma nel breve non ci saranno modifiche, io l’ho ereditato e quelli così ampi non sono la mia passione: dovremo stringere un pochino, puntare su certe cose e toglierne altre”.
Per la Doc Maremma Toscana l’export è ancora marginale. “La media si attesta intorno al 35-40%, quindi ci sono opportunità grosse – commenta Mazzei – e questo significa che dovremo indirizzare l’attività promozionale sui mercati più importanti, quelli più maturi e più adatti ad una Denominazione giovane come questa”. Più “facile”, data la bellezza del paesaggio e dei tesori storici e architettonici che (anche) questa parte di Toscana più incontaminata custodisce, sviluppare i canali dell’enoturismo e della vendita diretta in Cantina. “Il Nuovo Mondo insegna che bisogna certamente cavalcare questo filone perché è il futuro, soprattutto per le aziende più piccole che dovranno vendere almeno il 50% di quello che fanno in loco” evidenzia il presidente, ribadendo che “quindi la Maremma è indietro ma questo lo vedo come un bicchiere mezzo pieno perché c’è molto da fare: c’è un progetto a partire dal 2025 di valutazione di dove siamo, di formazione e poi di promozione per incrementare i flussi enoturistici in Maremma che ha tantissimo da far vedere, ha un potenziale enorme”.
Mazzei è un presidente di Consorzio presente, attento e appassionato, che crede fermamente in questo territorio su cui ha tra l’altro scommesso. Il gruppo vitivinicolo di famiglia, Marchesi Mazzei, che guida insieme con il fratello Filippo possiede infatti dal 1997 “Tenuta di Belguardo” a Poggio La Mozza, poco meno di un centinaio di ettari, di cui 48 vitati. Tra i diversi impegni da presidente del Consorzio, va ricordato quello meritorio all'”Anteprime di Toscana” in favore de “L’Altra Toscana”, importante vetrina che riunisce 13 Consorzi delle Denominazioni regionali meno celebrate ma che offrono uno spaccato molto interessante dei loro vini e dei territori in cui nascono. “Quello de ‘L’Altra Toscana’ è un concetto fortissimo, perché sempre più spesso ti senti dire che i cardini delle ‘Anteprime’ sono due: da un lato il Chianti Classico e dall’altro noi” dice Mazzei ad askanews, sottolineando che “penso sia una chiave bellissima, interessante e divertente sulla quale andremo avanti e probabilmente faremo qualcosa di più”.