Roma, 30 mag. (askanews) – Il calo dei consumi delle carni bianche colpisce soprattutto il tacchino, che paga anche un dazio pesante sul fronte dei costi di produzione e di due anni di ridotta produzione a causa dell’epidemia aviaria. Sebbene il Veneto rimanga leader a livello nazionale per la carne del volatile, riuscendo a coprire la metà del totale prodotto, gli allevamenti regionali sono in calo: da 422 sono scesi a 392, gran parte dei quali in provincia di Verona (il 68%).
“Dopo anni di influenza aviaria, che ha colpito fortemente nel 2021 ed è continuata negli anni successivi, con parecchi focolai rilevati, le aziende sono ancora in forte difficoltà, in quanto hanno lavorato al 50% delle loro possibilità – sottolinea Diego Zoccante, vicepresidente della sezione di prodotto di Confagricoltura Veneto e presidente di quella veronese, oltre che presidente dell’Ava, Associazione veneta avicoltori – Anche i consumi sono in calo, almeno del 10%, mentre i prezzi pagati ai produttori restano invariati nonostante i rincari scattati nella grande distribuzione”.
Il risultato è un minor utile per i produttori, che devono far fronte a continui costi per gli adeguamenti delle strutture. Il decreto sulle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli, che entrerà in vigore il primo luglio, prevede infatti spazi adibiti per le pulcinaie in tutti i capannoni. Questo significa non solo costi più alti dal punto di vista strutturale, ma anche per la gestione, a cominciare dal riscaldamento. Un controsenso, peraltro, in questa fase di transizione ecologica, in cui si va verso un utilizzo minore di combustibili”.
Per quanto riguarda l’aviaria il periodo è tranquillo: il costante monitoraggio negli allevamenti e nei selvatici ha portato ad un rischio molto basso di diffusione del virus. La preoccupazione è alta, invece, anche per le regole restrittive approvate dall’Ue in materia di emissioni industriali, che ha incluso gli allevamenti di suini e avicoli.