Roma, 20 mag. (askanews) – Julian Assange ha ottenuto una vittoria nella sua battaglia contro l’estradizione dal Regno Unito dopo che i giudici dell’Alta Corte di Londra gli hanno concesso il permesso di ricorrere in appello. Davanti al tribunale una folla di sostenitori e la moglie, Stella Assange, mentre il giornalista australiano, 52 anni, non ha potuto presenziare a causa delle sue condizioni di salute.
“I giudici hanno preso la decisione giusta”, ha commentato Stella, sostenendo che gli Stati Uniti hanno provato a lungo a camuffare la cosa, ma “i giudici non l’hanno bevuta”.
A marzo due giudici avevano rinviato la decisione sulla possibilità che il fondatore di WikiLeaks, che sta cercando di evitare di essere perseguito negli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio relativa alla pubblicazione di migliaia di documenti riservati e diplomatici, potesse portare il suo caso ad un’altra udienza di appello.
Ad Assange era stato concesso il permesso di ricorrere in appello solo se l’amministrazione Biden non fosse stata in grado di fornire alla corte adeguate garanzie “che al ricorrente Assange è consentito fare affidamento sul primo emendamento, che il ricorrente non è pregiudicato durante il processo, compresa la sentenza, da ragione della sua nazionalità, che gli sono concesse le stesse tutele del Primo Emendamento libertà di parola di un cittadino degli Stati Uniti, e che la pena di morte non è imposta”.
Lunedì la discussione legale si è concentrata sulla questione se ad Assange sarebbero state concesse le protezioni del primo emendamento. Il team di Assange non ha contestato le garanzie sulla pena di morte, ma l’Alta Corte ha comunque stabilito che potrà ricorrere in appello.
Assange è stato incriminato con 17 accuse di spionaggio e un’accusa di uso improprio del computer, esponendolo a un massimo di 175 anni di prigione, per la pubblicazione sul suo sito web di una serie di documenti statunitensi riservati quasi 15 anni fa.
I pubblici ministeri americani sostengono che Assange abbia incoraggiato e aiutato l’analista dell’intelligence dell’esercito americano Chelsea Manning a rubare dispacci diplomatici e file militari pubblicati da WikiLeaks, mettendo a rischio vite umane.