Intervista On. Massimiliano Salini – askanews.it

Intervista On. Massimiliano Salini

Apr 2, 2024
Roma, 2 apr. – Benvenuti a una nuova puntata di Ask@news EU Verified Series. L’ospite di oggi è l’europarlamentare Massimiliano Salini del Partito Popolare Europeo, membro della Commissione ENVI e ITRE. Salini è stato relatore di due importanti provvedimenti relativi al Programma Spaziale europeo e alla proposta di regolamento per gli imballaggi dove è riuscito ad ottenere un compromesso a tutela del nostro sistema industriale.
D. Buongiorno Dott. Salini e grazie di essere qui con noi oggi. Allora partiamo da questa legislatura ormai agli sgoccioli. Qual è un risultato o un provvedimento che lei ritiene significativo o di cui è orgoglioso?

R. Se dovessi individuare quello più significativo dal punto di vista anche dell’impatto che avrà sul futuro a livello generale certamente è la conclusione di tutto il negoziato sul programma spaziale europeo. Dopo i sistemi di navigazione di osservazione, siamo arrivati alla disciplina anche dei sistemi di connettività satellitare. Questo certamente avrà un impatto strategico e anche visionario, se vogliamo, sul futuro dell’Europa e sul futuro di tutti gli europei a partire diciamo dalla fascia di popolazione più debole che ha più bisogno di servizi di alto livello, il più possibile gratuito. E invece il secondo provvedimento più complesso ma più italiano devo dire quello sul packaging certamente sì l’ultimissimo che ho completato e su cui il negoziato è stato veramente molto più articolato di quanto previsto. Ma certamente con il risultato più soddisfacente per quanto è stata modificata la proposta iniziale e quindi ridimensionato il danno che poteva generare.

D. Quanto è stato difficile ottenere questi risultati e a fare in modo che ci fosse una condivisione di intenti anche con gruppi parlamentari diversi?

R. La difficoltà principale è determinata dalla complessità della materia. Quando un provvedimento tocca tante filiere economiche tanti cittadini, diciamo quando l’impatto sulla realtà del provvedimento è alto, la complessità nel negoziato aumenta e aumenta a dismisura.

Il modo migliore per non dico annullare questa complessità, perché il problema non è annullare la complessità il problema è trovare una sintesi che tenga conto del maggior numero di fattori e che abbia una lungimiranza tale da poter tenere nel tempo…

Il miglior alleato di un negoziato complesso e che uno rimanga ancorato alla realtà cioè valuti più l’impatto che quel provvedimento avrà sui cittadini che non la coerenza, sembra strano da dire, ma che non la coerenza col proprio programma elettorale diciamo così. Perché l’irrigidimento sul programma o sull’appartenenza partitica a volte diventa un impedimento a quella flessibilità necessaria affinché si porti a casa un risultato realmente adatto alle domande dei cittadini.

D. Grazie al risultato ottenuto la nostra industria del riciclo sarà più tutelata?

R. Questo sì. Noi abbiamo insistito nel tentativo di tutelarla non perché dobbiamo a tutti i costi proteggere il sistema Italia in quanto il miglior sistema in termini di riciclo in tutta Europa, ma perché siamo fortemente persuasi che quel modello sia un modello che farà il bene di tutti. L’idea che per ridurre i rifiuti, come è giusto che sia, si debbano ridurre gli imballi, a noi pare anacronistica. Il punto è fare in modo che l’imballo dopo il consumo, non diventi rifiuto, ma diventi nuova materia prima per altre produzioni. E questa la sfida industriale, tecnologica e ambientale che in Italia è stata vinta e non si vede perché se ci sono 1 o 2 paesi che corrono e altri 25 che non corrono i due che corrono debbano essere fatti rallentare e non invece aiutare gli altri a correre un po’ più veloce.

D. Guardando invece alla competitività del nostro sistema industriale nel suo complesso, Lei come giudica l’entrata in vigore del Cbam, il Carbon Border Adjustment Mechanism come tutela dalla concorrenza sleale?

R. Il CBam o Carbon Border Adjustment Mechanism è un’ottima misura però purtroppo incompleta. È ottima perché chiede che un prodotto che viene realizzato fuori dall’Europa non rispettando le regole ambientali che i nostri imprenditori rispettano con costi molto elevati, quando arriva in Europa subisca una sorta di tariffa all’ingresso che compensi quei minori costi che chi le produce non ha voluto sostenere, in modo tale che non ci sia concorrenza sleale con i nostri produttori. Perché dico che è incompleta? Perché il medesimo procedimento andrebbe fatto non solo verso l’import, come abbiamo appena detto, ma anche verso l’export dei nostri prodotti, perché quando i nostri prodotti vengono esportati fuori dall’Europa subiscono la concorrenza sleale di quei prodotti che appunto come dicevamo non vengono realizzati con le medesime cautele con i medesimi investimenti. E cosa significherebbe questo? Significherebbe un supporto anche economico ai nostri esportatori quando portano la creatività europea fuori dai confini, un appoggio a quelle imprese che si assumono la responsabilità di perforare i mercati globali ma hanno costi molto superiori a quelli sostenuti ma non solo nell’Est anche in America per le medesime produzioni.

D. Guardando invece un settore specifico, quello dell’auto. Si è parlato anche in questo caso, di introdurre dazi, in particolare per i prodotti provenienti dalla Cina. Lei cosa ne pensa?

R. Noi abbiamo il dovere non tanto di proteggerci dal mercato, ma proteggerci da chi le regole del mercato non le rispetta. Quindi non è una forma di neo-protezionismo, ma è una forma di tutela di chi fa impresa correttamente. Allora noi non vogliamo impedire una relazione commerciale industriale anche con la Cina, anzi ne conosciamo l’importanza e perseguiamo un modello di sviluppo che non chiude mai le porte. Ma che ha delle regole. E quelle regole devono essere he almeno come tentativo rispettate in modo reciproco perché sono a tutela della centralità della persona. E questo a volte comporta delle azioni un po’ ruvide e bloccare all’ingresso un prodotto come dicevamo prima parlando di CBam aumentandone il valore o meglio aumentandone il prezzo con tariffe o dazi, se ha una motivazione come quella che abbiamo appena ricordato, il risultato finale che si cerca di ottenere è quello di tutelare un mercato sano da un mercato che sano non è.

Sempre parlando dell’industria dell’automotive, cosa pensa delle revisioni della normativa Euro7 e della discussione in corso sui carburanti CO2 neutrali.

Ho preso parte attivamente a questa discussione con l’ambizione di modificare un errore, a nostro modo di vedere a mio modo di vedere, che è stato commesso dalla Commissione europea su tutto il pacchetto del futuro della mobilità sostenibile. L’errore non è stato quello, come alcuni hanno detto, di fissare ambizioni alte dal punto di vista ambientale. L’Europa deve continuare a guidare le danze a livello globale, anche sul tema della sostenibilità ambientale, come sul tema della sostenibilità sociale. Tuttavia, il peggior nemico della innovazione, anche quando questa punta a tutelare l’ambiente, è l’imposizione dall’alto di una tecnologia. Anzi, imponendo dall’alto una tecnologia si ottiene il rischio di ridurre la capacità di innovazione di ricerca. La competizione al rialzo è il miglior alleato, anche della migliore tecnologia in termini di sostenibilità. Per cui abbiamo detto: fissati gli obiettivi lasciamo alla società nella sua ricchezza, nella collaborazione tra università, imprese e cittadini, di reperire volta a volta le migliori tecnologie, chiedendo ai cittadini di scegliere queste migliori tecnologie, integrando le loro possibilità, la loro maturità dal punto di vista della sostenibilità, gli europei su questo hanno mostrato di essere molto seri, e anche le loro tasche, in modo tale che una tecnologia non venga forzata ma venga accompagnata. Questo è anche un modo affinché, come sempre accaduto in Europa, oltre a innovare e quindi a creare nuovi modelli, nuovi prodotti, nuove tecnologie, facendolo in questo modo non si perdono posti di lavoro sul percorso perché si accompagna l’innovazione e quindi la si rende sempre più digeribile dalla società civile. E questo è un punto centrale per l’equilibrio sociale ed economico.

D. Secondo lei ci sarà spazio nella prossima legislatura per portare avanti il concetto di neutralità tecnologica ed eventualmente a rivedere lo stop al termico nel 2035?

R. Sicuramente sì. Perché dico questo? Uno perché aumenta la sensibilità a questo riguardo e non parlo solo di un aumento, diciamo probabile dei parlamentari, di quei partiti politici che hanno mostrato più sensibilità, ma mi pare che aumenti in tutti questa consapevolezza. E cioè che per garantire nel settore della mobilità, come in tanti altri settori, una vera sostenibilità, l’approccio migliore è quello della valutazione dell’intero ciclo di vita o Life Cycle approach, non è sufficiente dire cambio il tipo di carburante, ma devo vedere che tipo di vita ha quel carburante da quando è nato a quando viene usato. Quindi questo modello, che è quello della, io la definirei anche libertà tecnologica non solo neutralità tecnologica, è entrato nel dibattito e fortunatamente penso potrà far breccia sia a destra che a sinistra, al centro già c’è, però voglio dire è che sta un po’ nel cuore di tutti. E si potrà intervenire perché ci sono dei processi di revisione dei regolamenti e delle direttive. Quindi questo ci permetterà sicuramente di intervenire anche sul Regolamento che disciplina le emissioni dei veicoli leggeri che lei citava, in modo tale che da qui al 2035 non venga stravolto, ma certamente venga messo nelle condizioni di non danneggiare ma di favorire la buona vita dei cittadini.

D. In questo senso un primo passaggio potrebbe essere alla fine del 2026, quando dovrebbe esserci una prima parziale revisione, giusto?

R. Sì, ci sono delle valutazioni sull’impatto di questi provvedimenti anche in corso d’opera, prima che producono i loro effetti.

D. Passando invece al tema della salute, si è discusso dell’ipotesi di costituire una Commissione Sanità (Sant) permanente proprio come segnale di una crescente attenzione verso la salute. Lei cosa ne pensa?

R. È un fatto eccezionale questo, che ha visto l’Unione Europea reagire in maniera così solida di fronte all’emergenza Covid. Però va calibrato all’interno delle competenze dell’Unione europea, in relazione alle competenze dei Paesi membri. Come è noto, la sanità rientra in quegli ambiti che sono affidati all’autonomia del singolo Paese membro, esattamente come il fisco. Diciamo le politiche sociali e le politiche fiscali non sono competenza dell’Unione, ma sono competenza del singolo Paese membro. Il punto però è trovare, ferma restando questa competenza nazionale che salvo modifiche radicale dei trattati rimarrà intatta, qual è il punto in cui si può anche in questi ambiti favorire un’armonia di soluzioni. Non bisogna necessariamente sostituirsi alla competenza del singolo Paese membro nella disciplina ad esempio sanitaria legata a come viene concepito il rapporto tra medicina territoriale medicina ospedaliera e quant’altro, sono una serie di elementi che il Paese membro continuerà a disciplinare come ritiene. Ma ci sono dei punti comuni che possono dare vantaggi enormi ai cittadini e facilitare anche la vita dei Governi nel disciplinare queste materie a livello locale.

D. Durante questa legislatura il Parlamento si è espresso più volte in maniera favorevole rispetto alle politiche di riduzione del danno, sia nel Beca Report che nel Ncd Report, attraverso anche la promozione di tecnologie innovative e alternative. Secondo Lei, questa impostazione sarà poi tradotta e portata avanti nei testi legislativi della prossima legislatura, anche per coerenza rispetto a quanto espresso dal Parlamento?

R. Penso di sì. Penso che il tentativo sia un tentativo che è nato con diciamo una forte condivisione e armonia cross parties, cioè senza distinzioni di gruppi. E questo mi pare sia un elemento che, soprattutto quando si toccano questioni molto sensibili per la vita dei cittadini, potrebbe caratterizzare sempre di più la vita delle istituzioni europee. (L’Ue avrà) Mille difetti, ma certamente un grande pregio: il permanere di una propensione alla tutela dell’armonia tra Paesi. Non dimentichiamo una cosa: l’Unione europea è forse l’unico progetto al mondo nella storia nel quale dopo la Seconda guerra mondiale i vinti e vincitori si sono messi insieme hanno fatto una cosa insieme. E questo ogni tanto, pur tra mille stranezze e mille cadute nei singoli dossier sembra, a volte, rifare capolino questo spirito di armonia tra i paesi.

D. Quindi lei condivide l’impostazione di fondo di cercare politiche che tendano a ridurre il danno piuttosto che politiche più drastiche che tendono ad eliminare il consumo di determinati prodotti?

R. Certo.

D. Quali sono gli obiettivi e le sfide più importanti che, secondo lei, attendono il Parlamento europeo nella prossima legislatura?

R. La sfida delle sfide è il tema della difesa. La pace non può prescindere da un concetto solido di difesa anche come strumento privilegiato di deterrenza. Non esiste un’istituzione senza una politica estera e una politica di difesa, non si può scherzare con la politica. E quel che sta patendo il popolo ucraino lo dimostra. Bisogna avere la consapevolezza dell’importanza della difesa, che non significa dare importanza alla guerra, significa dare importanza a tutti gli strumenti possibile per evitarla. Ed essere consapevoli che non vi è difesa oggi possibile se non in modo unitario per tutta la comunità dei popoli europei. Io addirittura, in scia con quanto in qualche misura detto anche da Mario Draghi credo che la difesa debba uscire dai bilanci nazionali e, come è stato con il modello del Next Generation EU, diventare un capitolo di bilancio europeo, finanziato e garantito dall’Europa fino ad arrivare ad avere anche una governance che sia europea. Questa è la prima sfida. La seconda è riconcepire un Green Deal che non sia punitivo verso i buoni modelli di sviluppo d’impresa europei, che si sono molto spesso sentiti un po’ traditi dalle regole europee. Quasi che i grandi avanzamenti fatti in tecnologia e in innovazione verso la sostenibilità non bastassero mai e che essere i primi per distacco, i primi della classe al mondo, non meritasse neanche un minimo di valorizzazione. Io ho tre figli, se ai miei figli dico sempre che quello che fanno non basta, li perdo, eh. Bisogna saper valorizzare le buone pratiche realizzate e da quelle partire poi per essere ancora più ambiziosi. Quindi un Green Deal che non sia più un semplice regolamento dall’alto, ma sia un vero deal, cioè un accordo tra le parti, un’istituzione che guarda i suoi e gli dice ok, questa è la strada buona adesso questi sono i margini di miglioramento.

D. Secondo lei il nuovo rapporto che si sta definendo fra Popolari e Conservatori potrà aiutare a elaborare un Green Deal, una visione ambientalista meno ideologica e più ancorata alla realtà?

R. Non c’è dubbio perché anche la fase finale di questa legislatura lo ha dimostrato. Se non ci fosse questa forte consapevolezza, che a me pare sia nei cromosomi del Partito Popolare europeo fin dalla sua nascita, non ci sarebbe una parte della destra che ha deciso di rinunciare a certe stranezze, a certi eccessi, a certi messaggi che tentano di semplificare ciò che semplificabile non è. Perché determinate sfide rimangono, sono lì da vedere, certi rischi sono lì da vedere, certe possibili derive sono lì davanti agli occhi di tutti, le vediamo nella nostra quotidianità. Bene ecco allora sedersi al tavolo, due partiti che hanno una tradizione comune, anche se punti di partenza culturalmente diversi e distanze che non sono sanabili, per il Ppe è l’uomo, la persona, il soggetto di riferimento per i Conservatori è la nazione. Quindi ci sono dei punti che andranno tenuti distinti e che potranno convergere, ma questa collaborazione che lei ricordava sicuramente farà molto bene e renderà non meno ambiziosi certi progetti, ma più ancorati alla realtà. Quindi non l’ambientalismo ma l’ambiente.

D. Un’ultima domanda veloce. Tornando al programma spaziale di cui lei è stato anche relatore, può essere un modello anche per sviluppare altri programmi congiunti come quello della difesa?

R. È proprio così. Guardi, la ringrazio perché il modello che abbiamo attuato col programma spaziale europeo, se si considera anche proprio la struttura upstream delle nostre costellazioni, cioè sono infrastrutture europee, non c’è un pezzo di costellazione Galileo per la navigazione satellitare italiana un pezzo francese, un pezzo danese. È un’unica grande infrastruttura, un’unica grande costellazione di tutti gli europei, così come Copernicus per l’osservazione e Iris in futuro per la connettività. Quello è il modello di riferimento anche per la difesa europea, ad esempio, non 27 sovra infrastrutture militari separate, ma un’unica, magari anche meno costosa, più innovativa e governata armonicamente dall’Unione Europea.