Cosa rimane della “fuga dalla città” a quattro anni dall’inizio della pandemia – askanews.it

Cosa rimane della “fuga dalla città” a quattro anni dall’inizio della pandemia

Mar 28, 2024
Roma, 28 mar. – Fuga dalla città? In era Covid era diventato un mantra per molti cittadini italiani il cui confinamento forzato aveva riacceso il desiderio di spazi aperti e l’interesse per le case in contesti rurali e piccoli centri. Questo interesse ha raggiunto il suo picco nel terzo trimestre del 2020, rappresentando il 10,3% dei contatti per abitazioni in comuni con meno di 5.000 abitanti rispetto al totale delle richieste degli utenti.

Tuttavia, tre anni dopo, nel quarto trimestre del 2023, i dati indicano un calo del desiderio di trasferirsi verso queste zone, con la domanda relativa alle abitazioni in comuni sotto i 5.000 abitanti scesa all’8,2%. Questo valore è inferiore persino al 9,1% registrato nel primo trimestre del 2020, prima dell’inizio della pandemia.

Questa tendenza alla contrazione coinvolge tre quarti delle province italiane, con cali significativi dei contatti riguardanti i piccoli comuni. Per esempio, nella provincia di Isernia, il calo è stato del 20,3%, passando dal 70,9% al 50,6% dei contatti. Altri esempi includono Alessandria (dal 44% al 28,7%), Biella (dal 51,3% al 36,5%), Asti (dal 41,1% al 26,5%), L’Aquila (dal 49,8% al 37,2%), Novara (dal 33% al 21,5%) e Trento (dal 46,5% al 35,8%).

D’altra parte, alcune province hanno registrato un aumento dei contatti nei piccoli comuni, come Rovigo (dal 19,1% al 25,7%), Nuoro (dal 31,5% al 36,5%), Avellino (dal 33% al 37,3%), Cremona (dal 27,1% al 30,2%) e Padova (dal 3,6% al 6,6%).

Roma, Venezia e Firenze hanno mantenuto un peso dei contatti marginale e invariato dall’estate del 2020, rispettivamente all’0,7% e all’0,8%. In provincia di Milano, i contatti nei comuni con meno di 5.000 abitanti rappresentano l’1,2% del totale, in lieve aumento rispetto all’1,1% ipotizzato nell’estate del 2020, mentre a Napoli si è passati dall’0,6% di allora all’0,5% attuale.

L’interesse delle famiglie a vivere in queste aree sembra essere regredito anche rispetto ai livelli pre-pandemici, poiché in 77 delle 105 province monitorate il peso dei contatti nei comuni con meno di 5.000 abitanti è stato superiore a quello attuale nei mesi precedenti l’inizio del lockdown.

In questo caso differenza maggiore si registra a Benevento, che nell’inverno 2020 registrava il 50,1% dei contatti nei piccoli centri, mentre ora si attesta al 29,1%. Seguono Asti (con il 42,7% nel 2020 e il 26,5% attuale), Campobasso (37,5% prima della pandemia e 24,5% attuale). Potenza (33,5% prima del covid e 22% attuale) e Cuneo (55,3% prima della pandemia e 44,7% attuale).

A Roma, nel primo trimestre del 2020 i piccoli comuni rappresentavano l’1,1% dei contatti, mentre attualmente rappresentano lo 0,7%. Invariata Milano riaspetto al trimestre pre-pandemico, con contatti fermi all’1,1%.

All’opposto, l’interesse per le case nei piccoli centri è cresciuto in 23 zone: Belluno (dal 50,1% nel 2020 al 56,4% attuale), Vercelli (dal 38,4% al 42,1% attuale) e Bolzano (dal 21% all’24,3% attuale) sono le province con il maggiore incremento. Nel resto delle aree gli incrementi vanno dal 2,7% di Lodi (dal 41% al 43,7%) allo 0,1% di Firenze (dallo 0,7% al 0,8%) e Napoli (dallo 0,4% allo 0,5% attuale).

Aree con maggiore interesse nei piccoli centri. La distribuzione geografica e demografica di ciascuna provincia influisce sulla percentuale di contatti nei piccoli comuni. Ad esempio, in province come Aosta, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola, i contatti nei piccoli centri hanno un peso maggiore rispetto al totale provinciale, rappresentando rispettivamente l’85,9%, il 73,5% e il 59,4%. Al contrario, a Trieste, rappresentano solo lo 0,1% del totale, seguita da Bari (0,2%), Napoli (0,5%), Roma e Venezia (entrambe allo 0,7%).

Per Vincenzo De Tommaso, Responsabile dell’Ufficio Studi di idealista, “A quattro anni dallo scoppio del Covid possiamo affermare che l’esodo verso le aree rurali è rimasto solo nelle intenzioni delle persone, ma non si è mai concretizzato. Questo interesse è stato alimentato dalla disponibilità di abitazioni più spaziose a prezzi inferiori, spesso dotate di terrazzi o giardini, che offrivano una valvola di sfogo durante eventuali restrizioni. Inoltre, sembrava che il telelavoro potesse diventare una soluzione diffusa, consentendo alle persone di allontanarsi dai grandi centri di lavoro senza compromettere le loro prestazioni. Tuttavia, una volta superate le sfide della pandemia, molte famiglie hanno riorientato la loro attenzione verso l’ambiente urbano, sacrificando spazio extra in cambio di migliori servizi. Il modello di telelavoro ibrido, che impedisce una transizione permanente lontano dagli uffici, è stato un fattore determinante per il ritorno di molte famiglie nelle città, dopo aver temporaneamente considerato la ‘fuga’ dalle stesse”.