Roma, 26 mar. (askanews) – E’ una mattina di sole, il paesaggio è piatto, pulito. Subito compaiono i volti di alcuni ragazzi, imbracciano fucili a ripetizione, mitragliette, gridano ‘Allah è grande’. Sono a bordo di fuoristrada lucidi che corrono veloci. Sono queste le prime immagini di un filmato di 46 minuti e 38 secondi che il ministero della difesa d’Israele ha ricostruito sull’attacco operato da Hamas il 7 ottobre scorso. E’ un documento – si spiega – realizzato montando video presenti nel web, sui social, nei telefonini delle vittime, nelle telecamere a circuito chiuso dei distributori di benzina, dal servizio del traffico, nei cellulari di chi ha aggredito, nelle GoPro montate sugli elmetti o sui cappellini da baseball. Grazie all’ambasciata di Israele e all’associazione Setteottobre è stato possibile visionare per Askanews questo prodotto che non viene diffuso, per scelta, al pubblico e che in parte era stato proposto ai corrispondenti presenti a Tel Aviv nei giorni successivi all’azione dei terroristi. Da oltre 1.300 ore di filmati questi 46 minuti e 38 secondi sono “la rappresentazione di quanto in questi ultimi mesi è stato dimenticato, coperto dalla propaganda di Hamas”, dice l’ambasciatore Alon Bar.
La prima parte del filmato, breve, è quella dell’attacco di Hamas alla frontiera. Le scaramucce nella prateria, le auto bruciate. Poi c’è l’arrivo in quelle sembrano periferie di una qualsiasi località di mare del nostro Paese. Subito ci sono i passanti uccisi a sangue freddo, mentre aspettano che si apra un cancello oppure mentre aspettano il bus. Ci sono proprio alcune persone a una fermata. Dietro di loro c’è una postazione per il book crossing, sembrano serene. I frame successivi raccontano una distesa di corpi disarticolati, imbrattati dal sangue e dalla polvere, con le facce deformate per i proiettili che sono passati attraverso. “Cani, cani”, gridano quelli, ora coperti dai passamontagna, che hanno Kalashnikov e agiscono in gruppo, senza che nessuno opponga una qualunque resistenza. L’esplodere delle pallottole pare uno scoppiettio da fiera paesana. Delle ragazze al minuto 16 dentro quella che sembra una palestra sono disorientate, spaventate, si chiedono cosa succede. Piangono. Dopo alcuni secondi sono tutte stese a terra, i corpi riversi e ammucchiati. Quelli di Hamas che le hanno uccise siedono a poca distanza, sul pavimento. Hanno fucili a tracolla, alcuni puntano dritto contro l’obiettivo ed è difficile sostenere quello sguardo.
Sulle spalle questi giovani sorridenti hanno quasi tutti degli zainetti, come quelli che si portano a scuola e sembrano andare a una gita. Non all’assalto del nemico. Si sorpassano recinzioni e si tagliano reticolati. Le immagini in soggettiva sembrano quel videogioco ‘Call of Duty’ in cui bisogna eliminare i nemici per raggiungere l’obiettivo. Anche le registrazioni delle chiamate hanno l’effetto della fiction, del già sentito. Come in un film di Quentin Tarantino. Sono però i gesti di chi è al centro della scena a far capire che è tutto vero, non può esser frutto dell’Intelligenza Artificiale, come pure si dice su blog e chiacchiere di siti internet che si interessano del conflitto in Palestina, specie dopo l’offensiva dell’esercito israeliano. Ci sono alcuni militanti di Hamas che entrano in una casa, con il taglierino rompono le zanzariere, sparano dalle finestre, gridano indicazioni. Uno cerca di appiccare il fuoco a una abitazione con l’accendino, come si è visto nel 1968 a My Lai, in Vietnam. Le immagini di quei soldati Usa, poco più che adolescenti, che ammazzavano donne e bambini, divennero uno dei simboli di quella tragedia che si consumava a molta distanza dall’Europa e dagli stessi Stati Uniti.
L’entrata di questi altri uomini in abitazioni tutte su un piano, con piccola veranda e poltrone coperte di merletti, sono la storia che non passa. Come i cadaveri presi a calci e riempiti di pallottole, come e meglio di ‘Black Hawk Down’. Ma qui non è la Somalia del 1993, i corpi sbattuti da una parte all’altra delle jeep oppure quelli su cui saltella uno di Hamas al minuto 31 sono la realtà di una guerra che la mattina del 7 ottobre 2023 nessuno aveva dichiarato “da una parte e dall’altra del confine”. Torna alla mente l’eccidio di Kindu, in Congo. Era l’11 novembre 1961 e furono trucidati 13 aviatori italiani del contingente dell’operazione delle Nazioni Unite. I corpi fatti a pezzi. Una statua fuori dall’aeroporto di Fiumicino ricorda da tempo quella tragedia che non ha mai avuto giustizia. Attorno al minuto 28 il filmato dell’Idf isola l’azione attorno a una casetta. Si sente il suono di un telefonino, il vociare della televisione. I militanti di Hamas sparano dei colpi, ma non sembrano mirare a qualcosa. Si vede un papà in mutande assieme a figli, poco più che bambini. Scappano scalzi. Attraversano un cortile e si rifugiano dietro una porta. Speri, preghi, che si possano salvare. Però qualcuno tira una bomba, di quelle che fanno tanto fumo e luce. Il papà esce e cede al suolo, ricoperto di sangue. I ragazzini vengono presi e spinti dentro casa, in un salotto dove poco lontano ci sono i resti della colazione. Uno piange e chiede del genitore, chiama la mamma. L’altro abbraccia le ginocchia e grida ‘perché sono vivo? Perché’. La scena finale è quella dell’arrivo dei soccorsi. Non si spiega che fine abbiano fatto questi due ragazzini. Si vede solo la mamma che si dispera davanti al cadavere del marito, grida con la bocca spalancata, come nell’urlo di Munch. Solo che questo non è un quadro e il movimento dimostra un dolore impossibile da descrivere solo con le parole.
L’ambasciatore d’Israele in Italia, Alon Bar, spiega: “Le brutali violenze testimoniate dal video ci ricordano le ragioni per cui non possiamo consentire ad Hamas di mantenere la capacità militare e di governo per attaccare Israele da Gaza. Un cessate il fuoco senza la certezza che gli ostaggi vengano rilasciati e che Hamas sia privato della sua capacità di attacco a Israele sarebbe prematuro. Israele deve necessariamente trovare il modo per raggiungere questo obiettivo”. Il presidente dell’associazione Setteottobre, Stefano Parisi, ha aggiunto: “La barbarie e la disumanità del massacro commesso il 7 ottobre dai terroristi di Hamas e della Jihad islamica rappresenta un’orrenda lezione sui metodi e sui propositi di nemici dichiarati della democrazia, della libertà, delle donne, dello stato di diritto”.
(Simone Navarra)