Roma, 19 mar. (askanews) – Il governatore della Banca del Giappone (BoJ) Kazuo Ueda, nel commentare la fine della politica dei tassi negativi decretata oggi dal Consiglio monetario dell’istituto centrale nipponico, ha decretato la fine dell’eccezionalità della BoJ rispetto alle altre banche centrali, dopo 17 anni senza rialzi, 7 anni di tassi negativi e due anni di politica ultra-espansiva mentre gli altri principali istituti mondiali adottavano un’aspra stretta delle politiche monetarie.
Nella riunione di ieri e oggi, con sette voti favorevoli e due contrari, il Consiglio monetario della BoJ ha deciso di alzare il tasso di riferimento da -0,1/0% a 0/+0,1%, con una mossa che ha un importante significato simbolico, perché segnala che la banca centrale scommette sul fatto che il Giappone sta emergendo da un trentennale periodo caratterizzato da una psicologia deflazionistica.
“Imposteremo la politica monetaria come le altre normali banche centrali”, ha detto il governatore Ueda in una conferenza stampa dopo l’incontro politico di due giorni. “I tassi ufficiali – ha continuato – saranno determinati in base alla situazione economica e ai prezzi”.
Le politiche della BOJ sono state in contrasto con quelle di altre banche centrali, che hanno aumentato drasticamente i tassi negli ultimi due anni per combattere l’inflazione innescata dalla pandemia di Covid, dalla guerra in Ucraina e dai problemi della catena di approvvigionamento.
La banca centrale nipponica, in realtà, si è mantenuta fedele alla linea delle politiche non convenzionali, soprattutto sotto la guida del precedente governatore Haruhiko Kuroda, per riuscire a ottenere un target strutturale d’inflazione al 2% dopo decenni di deflazione. Queste politiche – ha rivendicato oggi la BoJ – “hanno adempiuto al loro ruolo”.
In particolare, ad alimentare la scelta è stato anche l’esito della “shunto” (“battaglia di primavera”), cioè la tradizionale negoziazione salariale della fine dell’anno fiscale, che ha visto le grandi aziende soddisfare le richieste dei sindacati con un aumento medio delle retribuzioni del 5,28%, che si spera consenta un recupero di potere d’acquisto per le famiglie, eroso lo scorso anno dall’inflazione innescata dalle crisi geopolitiche, e faccia ripartire i consumi. “L’esito della trattativa sindacale primaverile salariale è uno dei punti importanti della decisione. Osservando le tendenze in salariali nelle grandi aziende, siamo giunti a questa decisione perché crediamo che, sebbene le piccole e medie imprese possano registrare aumenti un po’ deboli, fotografa la situazione generale in una certa misura”.
Tuttavia, se la decisione della BoJ segna la fine di un’epoca, non rappresenta ancora una sostanziale sterzata di politica monetaria, che resta espansiva. “Il ritmo con cui i tassi di interesse verranno aumentati dipenderà dalle prospettive dei prezzi. Tuttavia, sulla base delle previsioni che abbiamo attualmente, riteniamo che un aumento improvviso possa essere evitato per il momento”.
La decisione della BoJ (conosciuta in Giappone come Nichigin), nella sua prudenza, è stata apprezzata dal primo ministro Fumio Kishida. “E’ opportuno mantenere un contesto finanziario accomodante senza rivedere la dichiarazione congiunta” governo-Nichigin del 2013, che fissava l’obiettivo d’inflazione al 2%, ha detto Kishida. “In linea con la dichiarazione congiunta rilasciata nel 2013, anche il governo ha compiuto ogni sforzo per superare la deflazione. Credo che questi sforzi stiano cominciando a produrre risultati”, ha continuato, precisando che questa linea di politica comunque larga va mantenuta e non si sta considerando di rivederla. Anche perché “per dichiarare la fine della deflazione dobbiamo prendere una decisione globale”, ha concluso il primo ministro.