Stoccolma, 29 feb. (askanews) – La pace, la diplomazia e la risoluzione non violenta dei conflitti come faro per i politici. Ma “quando questi strumenti falliscono, c’è un grosso rischio per la popolazione, e lo stato ha diritto di difendersi. C’è dunque il diritto all’autodifesa. La Chiesa non si oppone all’adesione della Svezia nella Nato”: è quanto afferma Ludwig Gelot, segretario generale di Giustizia e Pace, la Commissione della diocesi di Stoccolma, in una intervista realizzata a Stoccolma da askanews.
“La situazione in Svezia sta cambiando rapidamente con l’inizio dell’adesione alla Nato – sottolinea -. Vediamo un grande cambiamento nella politica estera e anche nella percezione pubblica. Gli svedesi non erano molto favorevole all’adesione della Nato: negli ultimi 20-30 anni il tasso di approvazione era del 20-30%. Con la guerra in Ucraina, negli ultimi due anni, è quasi raddoppiato, superando il 60%. Oggi c’è una grande maggioranza di svedesi che vuole l’adesione alla Nato. C’è anche una percezione di paura. I sondaggi mostrano che il 77% degli svedesi è molto preoccupato per la minaccia rappresentata dalla Russia”.
Per Gelot, il cambiamento non è avvenuto solamente a livello di opinione pubblica, ma anche all’interno del governo “secondo cui è arrivato il momento di avere una difesa più solida piuttosto che una posizione neutrale. La neutralità è sempre stata fonte di pace per la Svezia. Ora, invece, credo che l’invasione dell’Ucraina abbia dimostrato che forse questa politica non reggeva più e quindi c’è stato un rapido spostamento verso l’adesione alla Nato”.
Siete preoccupati per le dichiarazioni da parte di Mosca sulle possibili ripercussioni in Svezia in seguito all’adesione all’Alleanza Atlantica? “La Svezia è un obiettivo legittimo di ritorsione – risponde il segretario generale della Commissione Giustizia e Pace -. C’è da attendersi una qualche forma di ritorsione. E’ anche vero che le relazioni tra Svezia e Russia non sono sempre state pacifiche prima dell’invasione dell’Ucraina. Ci sono sempre state forme di destabilizzazione di basso profilo. Quando si tratta di informazione, di propaganda che cerca di influenzare l’opinione pubblica, ma anche in dominio cibernetico. Non si tratta di un atto di aperta belligeranza da parte russa – conclude il numero uno della Commissione incaricata della questione dalla diocesi di Stoccolma -. Spesso assume la forma di attività criminali, o di hackeraggio. Oggi quello che ci aspettiamo, o che probabilmente accadrà in Svezia, è un aumento di questo tipo di attacchi. Ciò che forse ci preoccupa di più è che, a lungo termine, non si andrà verso una soluzione pacifica”.
Di Serena Sartini e Cristina Giuliano