Bruxelles, 27 feb. (askanews) – Inaspettato ritorno della maggioranza ambientalista al Parlamento europeo, e sonora sconfitta delle forze di centrodestra e di estrema destra, compresi tutti gli eurodeputati dei partiti della coalizione di governo italiana (Fi, Fdi e Lega). E’ accaduto oggi a Strasburgo, nel voto della plenaria sul controverso regolamento Ue per il “ripristino della natura”.
Nonostante ieri il Ppe avesse deciso di schierarsi per la bocciatura dell’accordo politico, che era stato raggiunto il 10 novembre nel negoziato in “trilogo” con il Consiglio Ue e la Commissione, il voto finale di oggi ha visto una vittoria nettissima del fronte ambientalista, con 329 eurodeputati favorevoli all’accordo sul regolamento, 275 contrari e 24 astenuti.
Alla resa dei conti, il Ppe si è spaccato, con un gruppo di 25 europarlamentari che hanno votato a favore, mentre i contrari sono stati 115 (tra cui tutti gli italiani) e gli astenuti 10. Inoltre, un numero probabilmente maggiore del previsto di Liberali del gruppo Renew ha votato a favore (60 eurodeputati), con solo 30 contrari e sei astenuti.
Al di là delle divisioni in questi due gruppi, molto compatto è stato invece il voto favorevole dei Socialisti e Democratici (con solo 4 contrari e tre astenuti), quello dei Verdi (nessun contrario, due astenuti) e quello della Sinistra (tre contrari, nessun astenuto). Tra i non iscritti, tutti e cinque gli eurodeputati del M5s, più il fuoriuscito Giarrusso, hanno votato a favore.
Altrettanto compatto, dall’altra parte, il voto contrario dei Conservatori dell’Ecr (solo tre favorevoli e un astenuto) e quello dell’estrema destra di Id (nessun favorevole e nessun astenuto).
Da notare che, oltre a tutti gli eurodeputati della maggioranza di governo italiana, hanno votato contro l’accordo sul regolamento per il ripristino della natura anche due eurodeputati italiani del gruppo Renew: Giuseppe Ferrandino (di Azione) e Fabio Massimo Castaldo (ex M5S, passato recentemente anche lui ad Azione). Hanno votato invece a favore altri tre europarlamentari italiani di Renew: Nicola Danti (Italia viva), Sandro Gozi (Italia viva, ma eletto in Francia) e Marco Zullo (indipendente, ex M5s).
Obiettivo del regolamento è garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi dell’Ue (oggi oltre l’80% degli habitat è in cattivo stato). Inoltre, le nuovo norme mirano a contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorare la sicurezza alimentare.
Entro il 2030, gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dal regolamento (che vanno da foreste, praterie e zone umide a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. In linea con la posizione approvata dal Parlamento europeo, fino al 2030 la priorità andrà accordata alle zone della rete “Natura 2000”. Gli Stati membri dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Inoltre, dovranno adottare dei piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi.
Il regolamento prevede che, per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, gli Stati membri dovranno registrare progressi in almeno due di tre indicatori elencati: l’indice delle farfalle comuni, la percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, e lo stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati.
Ogni paese dell’Ue dovrà anche adottare misure per migliorare un altro indice, quello dell’avifauna comune, che riguarda lo stato delle popolazioni di uccelli. Dovrà essere invertito pure il declino delle popolazioni di insetti impollinatori, al più tardi entro il 2030, raggiungendo successivamente una tendenza al loro aumento misurata almeno ogni sei anni.
Entro il 2030, dovranno essere attuate misure volte a raggiungere un trend positivo in diversi indicatori degli ecosistemi forestali, dovranno essere piantati altri tre miliardi di alberi, e si dovrà garantire in ogni Stato membro che non vi sia alcuna perdita netta di spazi verdi urbani rispetto al 2021. Dopo il 2030 gli spazi verdi urbani dovranno aumentare, con progressi misurati ogni sei anni.
E’ rimasto l’obbligo per gli Stati membri di individuare e rimuovere le barriere artificiali al collegamento delle acque superficiali, al fine di trasformare almeno 25.000 km di corsi d’acqua in fiumi a flusso libero entro il 2030, e mantenere poi la connettività fluviale naturale ripristinata.
Un obiettivo specifico del regolamento riguarda le torbiere, che sono molti efficaci nell’assorbimento delle emissioni, ma che nell’Ue sono state spesso drenate per consentire altre attività agricole. Gli Stati membri dovranno ripristinare almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030 (almeno un quarto dovrà essere riumidificato), il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050 (con almeno un terzo riumidificato). La riumidificazione, tuttavia, non sarà obbligatoria (come prevedeva la proposta originaria della Commissione europea), ma solo volontaria per gli agricoltori e proprietari di terreni privati.
Un’altra modifica che è stata richiesta dal Parlamento europeo, rispetto alla proposta originaria, è la possibilità di attivare un “freno d’emergenza” che consentirà di sospendere l’attuazione delle disposizioni del regolamento relative agli ecosistemi agricoli per un periodo fino a un anno, tramite un atto esecutivo, in caso di eventi imprevedibili ed eccezionali, fuori dal controllo dell’Ue e con gravi conseguenze per la sicurezza alimentare a livello comunitario.
Il testo del regolamento era stato sensibilmente indebolito rispetto alla proposta originale della Commissione, dopo i durissimi attacchi del mondo agricolo e delle forze di centro destra nel Parlamento europeo, che avevano portato all’approvazione di una lunga serie di emendamenti il 12 luglio scorso, durante il voto della plenaria a Strasburgo sul mandato negoziale per il “trilogo”. Gli emendamenti, che sono poi stati in buona parte confermati nell’accordo provvisorio con il Consiglio Ue, comportano spesso deroghe o possibilità di proroghe, e soprattutto la sostituzione di diversi obiettivi obbligatori con obiettivi indicativi (con formule come gli Stati membri “dovranno mirare a”, invece che “dovranno”).
In particolare, oltre all’introduzione del “freno d’emergenza” e all’eliminazione dell’obbligo di ripristino delle torbiere per i privati, è stato rimosso l’obbligo di ripristinare gli habitat naturali nel 10% dei terreni agricoli; i fondi Ue per l’agricoltura e la pesca (Pac e Pcp) non saranno utilizzati per misure di ripristino della natura; le nuove norme non si applicheranno ai progetti relativi alle energie rinnovabili o alle principali opere infrastrutturali; è stato cancellato uno degli obiettivi originari, quello di ripristinare lo stato della natura per riportarlo alle condizioni in cui si trovava negli anni ’50; gli Stati membri dovranno dare priorità alle azioni di ripristino nelle aree protette inserite nella rete “Natura 2000” e non nei terreni agricoli.
In sostanza, il Ppe, con l’aiuto delle destre e di una parte dei Liberali, era riuscito a introdurre gran parte delle modifiche che aveva chiesto. E’ difficile capire, dunque, secondo quale logica politica ieri il gruppo abbia deciso di votare contro l’accordo del “Trilogo”, se non per cercare di cavalcare l’onda dell’attuale protesta degli agricoltori. Ma, almeno in questo caso specifico, ha perso la scommessa.