Roma, 8 feb. (askanews) – Le tensioni politiche sulle riforme istituzionali irrompono nell’aula del Senato dove, durante l’esame del ddl Nordio, è andato in scena un attacco del capogruppo del Pd, Francesco Boccia, al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni. Uno scambio acceso che finisce con la richiesta di Balboni di convocare un giurì d’onore.
Ieri sera, durante i lavori della commissione Affari costituzionali, ha detto Boccia, è avvenuto un qualcosa che “mai, dico mai” era avvenuto prima, si sono superati “limiti” che riguardano il “rapporto non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche tra presidente di commissione e componenti”. A Tito Magni (Avs), ha raccontato l’esponente Dem, “è stato detto che sarebbe stata chiamata la forza pubblica, addirittura, in una commissione parlamentare”.
Boccia ha ricordato che il presidente deve tutelare “anche i miei diritti, quelli del mio gruppo parlamentare e quello dei gruppi parlamentari di opposizione”. Perché “lei – ha aggiunto – non è lì per rispondere al governo Meloni. Lei è lì per rispondere al Parlamento, al Senato”. E i tempi dei lavori “devono essere decisi prima. Non esiste che si faccia un’intesa sui tempi e poi il presidente, unilateralmente, senza nemmeno ascoltare l’Ufficio di Presidenza, decida che, da un certo momento in poi, si va avanti”, ha aggiunto spiegando su cosa si era incentrata la querelle. “Nessuno di noi può dire: qui comando io e si fa come dico io, perché tale comportamento non appartiene alla stagione repubblicana e io non vorrei che fosse l’ennesima dimostrazione di una insofferenza alle regole, l’ennesima dimostrazione di un’insofferenza verso un modello che noi continuiamo a difendere”, ha concluso Boccia.
Accuse respinte al mittente da Balboni, il quale riferisce tutta un’altra storia. “Il gruppo Pd – puntualizza – ieri sera è entrato in prima commissione per imporre ciò che non era stato stabilito” stravolgendo decisioni assunte “all’unanimità”. Durante l’illustrazione di un emendamento, “Magni si è alzato al suo fianco, incombendo su di lei e urlando a più riprese, impedendo alla senatrice Musolino di svolgere il suo intervento. All’ennesimo richiamo, poiché il senatore Magni non smetteva di urlare e sbraitare, ho detto: chiamiamo la forza pubblica. Intendevo i commessi, ovviamente”. E ha tenuto a sottolineare: “io non mi sono mai permesso di ridere degli emendamenti del senatore Magni; lo hanno fatto i colleghi del Pd. Questa è la verità. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Chiedo un giurì d’onore e chiedo che vengano sentiti i funzionari che erano presenti”.
A buttare “un po di acqua sul fuoco” il presidente dei senatori della Lega, Massimilano Romeo, con l’invito a “convocare un ufficio di presidenza ad hoc dove vengano chiarite tutte queste incomprensioni, questi fraintendimenti, queste tensioni che possono capitare nell’ambito del normale svolgimento dei lavori su temi importanti”.
Dopo lo scontro in aula, Magni è tornato sulla questione con un comunicato dove ha ribadito la sua posizione”: “non nutro nessun rancore personale verso il presidente Balboni. E’ un problema puramente politico. Per me la questione personale è finita già ieri sera. Non permetto però a nessuno di mettere in discussione le posizioni che abbiamo presentato sulla questione del premierato. Noi, a differenza dei 5 Stelle, abbiamo presentato 1000 emendamenti, perché non siamo d’accordo e abbiamo utilizzato uno strumento democratico per cercare di dire la nostra. Non è permesso a nessuno ridicolizzare la nostra posizione”.