Roma, 8 feb. (askanews) – Il ritiro della “legge omnibus” dal Parlamento segna la prima grande sconfitta del nuovo governo argentino: il progetto neoliberista del presidente Javier Milei ha progressivamente perso i pezzi in corso di dibattito fino a che lo stesso esecutivo ha deciso che non valeva più la pena portarlo avanti.
In particolare, i deputati hanno bocciato quello che era in realtà il punto principale dell’intero progetto: il trasferimento al Presidente del potere legislativo a partire da una dichiarazione dello stato di emergenza della durata massima di un anno e prorogabile per un secondo.
La legge omnibus presentata da Milei si presentava in realtà in una forma già ridotta rispetto al testo originario che contava 664 articoli, via via tagliati nel corso dei negoziati in commissione e già orfano di alcune parti come quella fiscale, stralciata per evitare polemiche e difficoltà nella una applicazione.
n sede di commissione poi il governo aveva già dovuto accettare di escludere dal piano di privatizzazioni l’ente petrolifero, l’Ypf, e altre aziende pubbliche nei settori dell’elettricità e delle telecomunicazioni, dove in nessun modo lo Stato potrà scendere sotto il 51%; nel successivo dibattito il portafoglio delle possibili cessioni è stato ulteriormente limitato.
A questo punto l’esecutivo dovrà valutare come procedere, se cioè stralciare le varie parti della legge per farle approvare separatamente per via ordinaria, anche se fonti governative parlano di un possibile ricorso ad un meccanismo plebiscitario (la cui legalità rimane da vedere); a decidere sarà lo stesso Milei, attualmente in visita in Israele.
La reazione del Presidente, affidata ad un comunicato, è stata prevedibilmente durissima: “La casta politica – come chiamiamo quella banda di delinquenti che vogliono un’Argentina peggiore perché non hanno intenzione di rinunciare ai propri privilegi – ha iniziato a squartare la nostra legge fondamentale per poter sostenere i diversi meccanismi con cui rubano agli argentini”.