Bruxelles, 1 feb. (askanews) – E’ un vertice dei capi di Stato e di governo insolito e ad alto rischio politico, il Consiglio europeo straordinario che inizia il 1 febbraio alle 10 a Bruxelles, dedicato in massima parte al tentativo di sbloccare il veto ungherese sull’approvazione della revisione del bilancio comunitario pluriennale che contiene i 50 miliardi di euro (33 in prestiti e 17 in sovvenzioni) destinati all’aiuto macrofinanziario all’Ucraina.
E’ insolito, perché è un vertice che parte sostanzialmente ‘al buio’, cioè senza un esito largamente pianificato in anticipo e con le conclusioni dei leader in gran parte gia scritte, come avviene in genere per questo genere di riunioni. Qui, invece, le conclusioni sono sostanzialmente le stesse che erano state bocciate dal veto dell’Ungheria all’ultimo vertice, quello ordinario di metà dicembre, pur avendo ottenuto il sostegno degli altri 26 Stati membri; e la domanda che per ora non ha risposta è la stessa di allora: che farà il premier ungherese, Viktor Orbßn?
E’ un vertice ad alto rischio politico, perché l’Ue si gioca la sua credibilità sulla scena internazionale, visto che si è impegnata a sostenere l’Ucraina non solo militarmente, ma anche nella sua sopravvivenza come Stato, come amministrazione funzionante, che paga gli stipendi pubblici, non va in default e ripara i danni della guerra, e a questo serve l’aiuto macrofinanziario.
Al Consiglio europeo di dicembre si era cercato di superare l’impasse proponendo di andare avanti con il resto della revisione del bilancio pluriennale (che varrebbe in totale quasi 65 miliardi di euro), visto che Orbßn su questo non sembrava sollevare obiezioni. L’Italia e altri paesi sarebbero stati favorevoli a ‘spacchettare’ l’aiuto macrofinanziario per l’Ucraina dal resto del quadro finanziario rivisto, che comprende nuovi fondi soprattutto per le politiche sull’immigrazione (2 miliardi di euro), per la politica estera e il ‘vicinato’, e per la politica industriale (programma Step, 1,5 miliardi); ma il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier olandese Mark Rutte si sono opposti, affermando che senza l’aiuto all’Ucraina non avrebbero ottenuto il via libera dei loro parlamenti alle nuove contribuzioni nazionali per il bilancio Ue.
Resta, quindi, la logica di pacchetto (niente è deciso fino a che tutto l’insieme è deciso), e resta il veto di Orbßn. Che nel frattempo, in realtà, un’offerta l’ha fatta ai partner europei per superare l’impasse: togliere il veto oggi a questa revisione di medio termine del Quadro finanziario pluriennale (che vale per sette anni), per tornare ad avere, in cambio, un diritto di veto sui bilanci annuali, che oggi vengono approvati a maggioranza qualificata.
Significherebbe tornare all’epoca precedente a Jacques Delors, il presidente della Commissione recentemente scomparso, che inventò nella seconda metà degli anni ’90 il bilancio pluriennale, proprio per metter fine agli estenuanti e ricorrenti negoziati tra gli Stati membri sui bilanci annuali da decidere all’unanimità.
Non stupisce che la proposta del premier ungherese sia stata immediatamente bocciata dagli altri Stati membri, che sarebbero anche pronti a tornare a discutere in Consiglio europeo dei bilanci annuali, ma assolutamente non a dare a Orban nuove occasioni di ricatto, con un nuovo diritto di veto laddove oggi non c’è.
‘Nella nostra ultima riunione di dicembre – ha scritto nella lettera dii convocazione del vertice il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel -, i 26 leader hanno sostenuto fermamente uno schema negoziale equilibrato che teneva conto di una serie chiara di priorità principali: sostegno all’Ucraina, gestione della migrazione e della sua dimensione esterna, sostegno ai Balcani occidentali e risposta alle catastrofi naturali. Questo schema negoziale pone le basi per la conclusione di un accordo a 27. Garantire un accordo è vitale per la nostra credibilità, e non ultimo per il nostro impegno a fornire un sostegno costante all’Ucraina. Spetta a noi trovare una soluzione e realizzarla’.
In sostanza, la ‘soluzione a 27’ dipende dalle conclusioni che trarrà il premier ungherese: gli conviene tirare ancora la corda, fino a rischiare di spezzarla? Irritare i partner europei fino a ritrovarsi completamente isolato (visto che ora non ha più neanche il sostegno della Polonia, dopo l’uscita dal governo dei suoi amici del Pis), e rischiare a questo punto davvero la censura da parte di tutti gli altri Stati membri, con l’attuazione della procedura dell’Articolo 7 del Trattato Ue, che toglierebbe temporaneamente all’Ungheria il diritto di voto in Consiglio Ue?
L’Articolo 7 sanziona, con decisioni all’unanimità ma senza il voto del paese interessato, le violazioni gravi e persistenti dei principi su cui si fonda l’Ue, (rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti fondamentali) ed è stato già attivato nel 2018 dal Parlamento europeo. E se è difficile pensare che possa essere usato, in generale, contro uno Stato membro governato dalla destra, con il consenso di altri paesi con governi di destra (compreso quello italiano), in questo caso specifico, che riguarda il sostegno all’Ucraina, probabilmente nessu altro governo si metterebbe di traverso.
E’ solo un’ipotesi, ma è significativo anche solo il fatto che se ne parli a Bruxelles, e potrebbe essere un argomento di peso per convincere Orban a cedere. Un’altra possibilità è quella, già ventilata al vertice di dicembre, di ricorrere a una soluzione ‘intergovernativa’ a 26, con un finanziamento ‘extra comunitario’ dell’aiuto all’Ucraina, basato su emissioni di titoli di debito sul mercato garantite dagli Stati membri. Ma è una soluzione che potrebbe fornire all’Ucraina solo prestiti e non sovvenzioni, sarebbe più complicata e costerebbe di più agli Stati membri.
Oltre alla revisione del bilancio pluriennale, i leader dei Ventisetta affronteranno altre due questioni riguardanti l’Ucraina: gli aspetti dell’assistenza militare all’Ucraina. C’è la questione della consegna, in ritardo rispetto ai tempi previsti, di un milione di pezzi di munizioni d’artiglieria entro marzo, come aveva deciso lo stesso Consiglio europeo nel marzo 2023. Si sta incrementando la capacità produttiva dell’industria della difesa dell’Ue, ma non è ancora sufficiente.
In secondo luogo, va rivisto e rifinanziato lo strumento più importante fin qui usato per l’assistenza militare a Kiev, la ‘European Peace Facility’, in modo che gli aiuti siano forniti più rapidamente, e che siano integrati e conteggiati nel quadro europeo gli sforzi bilaterali dei paesi membri. ‘Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo continuare a donare, adattare gli ordini e piazzarne di nuovi, il che stimolerà anche la nostra industria europea della difesa’, scrive Michel nel suo invito ai leader.
Ultima questione in agenda, scrive Michel, ‘i drammatici eventi in Medio Oriente’, che ‘richiedono la nostra massima attenzione’. In realtà, non c’è alcun appetito per una discussione, che sicuramente non sarebbe facile, che miri a definire una nuova soluzione comune dei Ventisette sulla guerra tra Israele e Hamas, dopo quella che fu stabilita con la ‘dichiarazione dei membri del Consiglio europeo’ del 15 ottobre scorso. Non sono previste, dunque, delle conclusioni scritte del vertice su questo punto.
Ma Michel sottolinea comunque, nella sua lettera ai leader, che ‘tutti gli ostaggi detenuti da Hamas devono essere rilasciati senza alcuna precondizione’. E osserva: ‘La nostra discussione dovrebbe essere inquadrata attorno ad una serie di questioni chiave. Alla luce dei preoccupanti sviluppi regionali, dobbiamo affrontare le questioni di sicurezza, continuare a incoraggiare la moderazione e discutere misure per prevenire un’ulteriore escalation regionale, soprattutto nel Mar Rosso. Inoltre, dobbiamo contribuire urgentemente a porre rimedio alla devastante situazione umanitaria a Gaza’.
‘Infine – si legge ancora nella lettera del presidente del Consiglo europeo -, dovremmo discutere su come rilanciare il processo politico per una soluzione a due Stati – l’unica opzione praticabile che può portare una pace sostenibile, sia per israeliani che per i palestinesi, e una maggiore sicurezza regionale. Nel complesso, i nostri sforzi dovrebbero mirare a garantire che il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario siano rispettati da tutti’.
Infine, sebbene non previsto dall’agenda, è pressoché certo che un ulteriore punto che sarà sollevato almeno da alcuni leader, e in particolare dal presidente francese Emmanuel Macron, è quello delle richieste degli agricoltori che sono scesi in strada con i trattori in buona parte dei paesi europei, e che saranno presenti in forza a anche a Bruxelles durante il vertice.
Dopo la decisione delle ultime ore dalla Commissione di proporre di sospendere ancora per un anno una delle misure europee più contestate dagli agricoltori, la messa a riposo di una parte delle terre agricole per motivi ambientali, Macron chiederà probabilmente nuove garanzie all’Esecutivo comunitario. In particolare, riguardo ai negoziati in corso sui trattati di libero scambio come quello con il Mercosur, che gli agricoltori temono per via della competizione da parte dei prodotti importati a basso prezzo che metterebbero in difficoltà ancora maggiore la produzione locale.