Roma, 29 gen. (askanews) – Botta e risposta tra l’associazione delle Big Tech statunitensi e la vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, dopo la clamorosa rinuncia di Amazon all’acquisizione di iRobot, il produttore di robot aspirapolvere e pulitori domestici. Una decisione che ha aperto un “caso”, anche perché riguarda una società in difficoltà.
La responsabile delle politiche Antitrust Ue è intervenuta con un comunicato ad hoc. Precedentemente Amazon e iRobot, con una nota congiunta avevano riferito che il piano di acquisizione era stato cancellato, senza citare esplicitamente la Commissione europea ma imputando la decisione agli ostacoli “eccessivi e spropositati” sollevati dalle autorità che, è implicito, sono quelle europee.
“La nostra indagine preliminare approfondita – ha detto Vestager – ha mostrato che l’acquisizione di iRobot avrebbe consentito a Amazon ostacolare le imprese rivali limitando o diminuendo loro l’accesso loro agli Amazon Stores. Per esempio Amazon sarebbe stata nella posizione di rimuovere o non far comparire robot pulitori rivali; ridurre la visibilità di robot pulitori mostrati nel marketplace; limitare l’accesso su alcuni dispositivi o alcuni prodotti o di aumentare i costi per le inserzioni pubblicitarie dei produttori rivali per vendere i loro pulitori robotizzati”.
“Abbiamo anche trovato che Amazon avrebbe avuto l’incentivo a ostacolare i rivali di iRobot, perché sarebbe stato economicamente redditizio farlo. Tutte queste strategie potrebbero aver avuto un impatto restrittivo sul mercato dei robot pulitori – aggiunge la vicepresidente della Commissione – portando aumenti dei prezzi, minore qualità e minore innovazione per i consumatori”.
Opposta la visione del caso da parte della Ccia, associazione che rappresenta imprese di informatica e comunicazione e che oltre ad Amazon annovera tra le sue associate tutti i giganti tecnologici Usa. Sulla caso specifico “non ci sono motivi validi per evitare che una azienda acquisisca un produttore di elettrodomestici in affanno”.
Secondo Daniel Friedlaender, vicepresidente dell’associazione “redditività e dimensioni di una azienda non possono essere utilizzati come motivi per escluderla dalle acquisizioni. Se l’Europa adotta una politica sulle fusioni guidata motivazioni politiche mosse unicamente da scopi di politica industriale, piuttosto che come strumento di concorrenza, questo porterà inevitabilmente a meno competizione e meno innovazione. Sarà negativo per i consumatori, per le possibilità di scelta e per l’industria europea”, ha sostenuto.
Secondo l’associazione il caso “manda un messaggio sbagliato sia agli gli investitori che alle start-up europee: appena raggiungete una determinata dimensione potete scordarvi di fusioni e acquisizioni”.