Roma, 4 gen. (askanews) – Giorgia Meloni valuta ancora la candidatura alle Europee (e propende per il sì) ma intanto lancia la ‘sfida’ alla segretaria del Pd Elly Schlein, con cui è pronta al confronto televisivo. La premier ne ha parlato questa mattina nella lunga conferenza stampa di fine anno, che era stata rinviata due volte per problemi di salute.
La riserva sulla sua partecipazione diretta al voto di giugno ancora non è pienamente sciolta, ma Meloni lascia capire che è intenzionata a correre. “Non ho ancora preso la decisione – spiega – niente conta di più per me che sapere di avere il consenso dei cittadini. Anche oggi che sono premier il misurarsi col consenso sarebbe una cosa utile e interessante. Né mi convince la tesi di chi dice che candidarsi alle europee è una presa in giro dei cittadini perché poi ci si dimette, ma i cittadini lo sanno, anche questa è democrazia”. Dunque la scelta sembra presa, però sarà condivisa con gli alleati perchè “è una scelta che è corretto fare insieme”.
Il ‘nodo’ comunque verrà sciolto presto perchè la campagna è già iniziata, in particolare da parte della Lega: Matteo Salvini punta a marcare le differenze da Fdi per recuperare consensi e questo potrebbe creare problemi alla stabilità dell’esecutivo, che però Meloni nega: “Credo che quelle differenze siano un valore aggiunto e che si possa crescere tutti quanti. Non mi pare ci sia da parte di alcuno la volontà di sottomettere la tenuta del governo all’interesse di partito”. L’avversario, dunque, è il campo delle opposizioni, e qui arriva la ‘sfida’ a Schlein (che avrebbe accettato un faccia a faccia su Sky), perchè è “normale e giusto che il presidente del Consiglio si confronti col leader dell’opposizione”.
Su come schierarsi dopo il voto, la presidente del Consiglio è cauta ma fa capire la linea. Intanto, assicura di lavorare per “una maggioranza alternativa” a quella attuale (Ppe, Pse, Liberali) che “ha dimostrato di potere esistere”. Ma se invece, come appare dai sondaggi, si dovesse profilare una nuova ‘maggioranza Ursula’, spiega quale sarà l’orientamento: separare il sostegno alla Commissione dallo schieramento al Parlamento di Strasburgo. Dunque ok all’esecutivo comunitario perchè “ovviamente quando si fa un accordo e ciascun governo nomina il suo commissario poi i partiti di governo tendono a favorire la nascita di quella Commissione” mentre “non sarei disposta a fare una maggioranza stabile con la sinistra in Parlamento”. Dunque il perimetro resta quello dei conservatori di Ecr, di cui è presidente, mentre con partiti come Afd (alleato della Lega) ci sono “distanze insormontabili, a partire dal rapporto con la Russia, su cui invece il partito di Le Pen sta facendo un ragionamento interessante”. In conferenza stampa emerge anche il possibile ruolo di Mario Draghi che alcuni – a partire da Emmanuel Macron – vorrebbero alla guida della Commissione o del Consiglio. Sul tema Meloni non si sbilancia ma non appare entusiasta. Per il “toto-nomi” è presto, assicura, ricordando che il suo stesso predecessore “ha detto di non essere disponibile”. E comunque a lei interessa avere “una politica europea più forte negli scenari di crisi, più efficace, più determinata nell’agenda strategica e nella sovranità strategica per non consegnarsi a nuove pericolose dipendenze, più efficace e ferma nella difesa dei confini, più capace di armonizzare il tema della transizione con la sostenibilità economica e sociale. E naturalmente perchè l’Italia abbia un ruolo importante in linea con il suo peso”.
A questo proposito, assicura Meloni, non c’è un pericolo di isolamento del Paese – che “non ha minori diritti delle altre nazioni” – neanche dopo la mancata ratifica del Mes. “La modifica del Mes è stata bocciata perchè non c’è mai stata la maggioranza in Parlamento” ed è Giuseppe Conte ad aver fatto “un errore” sottoscrivendo un trattato “sapendo che non c’era maggioranza” e mettendo così l’Italia in una “situazione difficile”. Comunque, ribadisce la premier, “il Mes è uno strumento che esiste da tempo e che è obsoleto” e questa “può diventare un’occasione per trasformarlo in qualcosa di più efficace”. Infine la presidente del Consiglio ribadisce anche la convinzione che il no al Mes non sia in relazione con il nuovo Patto di stabilità, che “non è il Patto che avrei voluto io” ma è una “sintesi” di cui “sono soddisfatta, alle condizioni date”.