Roma, 4 dic. (askanews) – La fotografia come scelta politica e cultura, e come ‘esperienza’. Il fotografo italiano Andrea Savorani Neri ha concesso una lunga intervista alla rivista tedesca The Game Magarine in cui fà il punto sulla sua carriera e sul senso della fotografia oggi.
Incontrando il fotografo IMAGO Andrea Savorani Neri, The Game Magazine approfondisce la narrazione della sua carriera che lo ha portato attraverso paesaggi ed esperienze culturali variegate. In questa intervista Andrea condivide le lezioni apprese nel suo viaggio visivo, plasmando la sua prospettiva unica in cui la responsabilità ambientale e la ricerca artistica vanno di pari passo nel settore della fotografia.
L’intervista è sponsorizzata da MPB, la più grande piattaforma per l’acquisto, lo scambio e la vendita di fotocamere e apparecchiature video usate.
Fin dai suoi primi ricordi, il fascino di Andrea per la fotografia è stato un aspetto determinante della sua vita. Questo viaggio è iniziato nei suoi anni formativi, plasmati dalle esplorazioni con suo nonno. Con una macchina fotografica in mano, ha imparato a vedere la vita attraverso un obiettivo, capendo che ogni fotografia e video era più di una semplice immagine: era una narrazione in sé. Questa precoce realizzazione ha scatenato una passione che durerà tutta la vita: la narrazione visiva è diventata il suo linguaggio e ha colto l’opportunità di trasformare questa passione in una illustre carriera.
Nel corso della sua carriera, Andrea è stato un attento osservatore dell’evoluzione della tecnologia fotografica. ‘Il cambiamento più grande a cui abbiamo assistito nella fotografia negli ultimi decenni è l’avvento di un’era in cui quantità e velocità sono le norme’, riflette. Questa trasformazione tecnologica, unita al suo vasto lavoro come giornalista e fotoreporter in diverse regioni, ha approfondito la sua visione degli argomenti che documenta. Spinto dalle preoccupazioni ambientali, Andrea crede che “la questione ambientale sia in prima linea, la sfida centrale della nostra epoca” e vede la fotografia documentaria come un mezzo cruciale per evidenziare queste sfide.
Andrea estende il suo impegno oltre le narrazioni che crea nella sua ricerca per proteggere l’ambiente. La sua filosofia è sostenuta da un approccio sostenibile al suo mestiere, dando priorità all’uso di attrezzature di seconda mano di alta qualità. Spiega: ‘Ripensando ai miei anni da fotografo, stimo che almeno il 50% delle mie attrezzature acquistate fossero di seconda mano’. Questa decisione riflette non solo una scelta economica ma uno sforzo consapevole per ridurre l’impatto ambientale del suo lavoro. Forte della sua vasta esperienza, Andrea offre saggi consigli ai fotografi emergenti in questa intervista. Li incoraggia a essere consapevoli del proprio impatto ambientale e a considerare i vantaggi del mercato delle attrezzature di seconda mano.
Andrea, hai lavorato in varie regioni come giornalista, fotografo e documentarista nel settore della fotografia e della videografia. Cosa ti ha spinto inizialmente a intraprendere questa carriera?
La mia passione per le immagini, e in particolare per la fotografia, si è sviluppata fin dalla tenera età, molto prima che comprendessi appieno il mondo. Mio nonno Alessandro, medico con la passione per la fotografia e la ripresa video, mi ha influenzato moltissimo. Insieme a mio padre Stefano sono cresciuto abituato a registrare visivamente tutto ciò che mi circondava. Solo più tardi, concentrandomi maggiormente sull’uso del linguaggio, ho capito che le immagini potevano trasmettere significati condivisi e, cosa ancora più importante, fornire uno straordinario livello di comprensione della realtà. Questa realizzazione ha acceso il mio desiderio di rendere questa pratica una parte centrale della mia vita. La prima volta che ho scattato sistematicamente fotografie per scopi professionali è stato più di 20 anni fa durante un soggiorno di sette mesi in Russia, dove ho scattato immagini per un editore italiano di libri di viaggio. Ripensando a quel momento, quando ho viaggiato in diversi luoghi della Russia occidentale e dell’Ucraina, penso di aver collegato la curiosità, che è la principale forza trainante nella vita, alla pratica della registrazione fotografica.
Hai una forte attenzione alle questioni culturali e politiche. Perché questi argomenti specifici?
La tua domanda mi consente di evidenziare le diverse pratiche e scopi racchiusi nella “fotografia”. Il termine “cultura” è altrettanto ampio, ma descrive adeguatamente come alcuni approcci fotografici mirano ad approfondire la nostra comprensione dei fenomeni sociali, dell’impatto umano e degli effetti ambientali. Questo aspetto della fotografia, che include la cattura di ritratti o paesaggi che rivelano strati di riflessione, mi è profondamente congeniale. Ad esempio, i miei anni di ricerca sull’energia nucleare mostrano come le attività umane abbiano ampie conseguenze sociali, ambientali, territoriali, economiche e politiche.
Per quanto riguarda il secondo punto, fotografare la politica rientra nell’uso della fotografia da parte dell’industria dell’informazione. La zona, Parigi, dove lavoro principalmente, è particolarmente coinvolgente a causa dell’intersezione della città tra questioni nazionali e internazionali. Seguire gli eventi politici in Francia non è solo stimolante ma anche “attraente”, dato il crescente interesse da parte di giornali e media. Hai iniziato la tua carriera quando la fotografia stava subendo cambiamenti significativi con la rivoluzione digitale. Come pensi che sia diverso il campo adesso rispetto a quel tempo? Potresti fare un paragone tra lo stato della fotografia allora e quello attuale?
Il viaggio in Russia di cui ho parlato prima ha segnato la mia prima esperienza con l’uso di una macchina fotografica digitale. Era una Olympus C-2000, un compromesso tra il mio budget limitato e la necessità di fornire all’editore foto senza sviluppo e stampa analogica. Confrontare la qualità delle fotocamere digitali di allora con quella di oggi è come discutere di fisica quantistica con Pitagora.
Tuttavia, il mio legame con la fotografia digitale è complesso. I miei mentori durante la mia formazione fotografica professionale, come Guido Guidi, Lewis Baltz e Gerry Johansson, erano tutti legati all’era analogica e non avevano alcun coinvolgimento con quello che è comunemente noto come ‘fotogiornalismo’, e ancor meno con la fotografia digitale.
Per rispondere a questa domanda, è importante ricordare che la fotografia può assumere molte forme diverse. Il fattore chiave è lo scopo dietro il lavoro di un fotografo. Per chi lavorava nel campo dell’informazione era abbastanza chiaro che l’era analogica aveva iniziato il suo declino più di vent’anni fa. Era un periodo in cui non lavoravo ancora stabilmente nelle agenzie di stampa o nel mondo dell’informazione.
Se spostiamo la nostra attenzione sulla fotografia documentaristica, credo che anche l’utilizzo di strumenti “anacronistici” e antichi possa assolutamente far parte del linguaggio che ogni fotografo sceglie. Questo perché l’obiettivo qui non è raggiungere un livello più elevato di definizione e dettaglio dell’immagine, come potresti trovare nella pubblicità, ma piuttosto costruire un segno stilistico unico, una “firma” personale.
In conclusione, direi che il cambiamento più grande a cui abbiamo assistito nella fotografia negli ultimi decenni è l’avvento di un’era in cui quantità e velocità sono le norme. Oggi una fotocamera mirrorless può scattare 120 fotogrammi al secondo. Al contrario, con una fotocamera di grande formato, come quella che utilizzo per i miei progetti a lungo termine, catturi solo un’immagine su una pellicola e poi devi caricare una nuova pellicola. Questa differenza tecnica racchiude l’intera evoluzione del mezzo fotografico e ha implicazioni significative sul modo in cui viene concepito uno scatto fotografico. Per quanto mi riguarda, mi sforzo di pensare in modo analogico anche quando, per ovvi motivi professionali, utilizzo una fotocamera digitale.
Il settore della fotografia è in continua evoluzione. Come possono i fotografi rimanere rilevanti e adattarsi ai cambiamenti nella tecnologia e nel consumo dei media?
La storia della fotografia è profondamente intrecciata con la democratizzazione e la divulgazione del mezzo: gli strumenti stanno diventando sempre più user-friendly e accessibili a tutti. Oggi abbiamo raggiunto il culmine di questo processo. Quasi tutti portano in tasca un apparecchio in grado di produrre immagini tecnicamente impeccabili, dove “impeccabile” significa essenzialmente messa a fuoco ed esposizione corrette. Tuttavia, il mercato delle attrezzature professionali è estremamente costoso e quindi accessibile solo a chi ha il sostegno di un’azienda disposta a investire in un singolo fotografo.