Milano, 1 dic. (askanews) – Undici artisti ai primi undici posti e Nan Goldin in prima posizione. La classifica annuale del Power100 di Art Review, dedicata alle persone “più influenti nel sistema dell’arte”, per il 2023 è dominata dagli artisti, che scalzano decisamente dal vertice curatori, direttori di museo, galleristi o filosofi. Una svolta che sembra in qualche modo rimandare alle battaglie di Hollywood, ma che forse, più che altro, certifica il bisogno di aggrapparsi alla vera ricerca e alle nuove intuizioni, in un momento storico di clamorosa fragilità e incertezza tra guerre, crisi climatica, populismi politici e mondo trans-pandemico. Aggrapparsi anche a figure che hanno messo nel lavoro artistico tutta la propria vita, il corpo e l’energia, come è il caso di Nan Goldin, artista, fotografa, regista, che guida la classifica di quest’anno, forte di una carriera e di una lezione senza compromessi, anzi vissuta con una diretta compromissione con i soggetti del suo lavoro. The Ballad of Sexual Dependency” del1986, è un’opera diventata leggendaria che ha simboleggiato un cambio generale di prospettiva rispetto a ciò che l’arte deve fare e, soprattutto, di come può effettivamente farlo. I riconoscimenti della scorsa Biennale Cinema, poi, hanno dato un ulteriore contributo, certificando che lo sguardo vicino, appassionato, onesto e mai giudicante di Goldin può essere quello adatto ai nostri tempi.
Al secondo posto della classifica di Art Review una presenza stabile nella lista annuale della rivista, l’artista e teorica Hito Steyerl, pioniera nelle opere e nella teoria, che indaga il cambiamento climatico e la deriva autocratica di molto potere. Temi anche questi che si alimentano della contemporaneità complessa del XXI secolo. Al terzo posto, con un balzo significativo rispetto agli anni precedenti, c’è Rirkrit Tiravanija, artista formalmente thailandese, ma con una vita cosmopolita che incarna la storia della globalizzazione, altro fenomeno che, nonostante una pubblicistica meno solerte, continua a determinare le dinamiche del presente. In questo caso, oltre alle pratiche di estetica relazionale e le contaminazioni con il mondo esterno tipiche del suo lavoro, a pesare per la classifica sono le molte esposizioni importanti che Tiravanija ha avuto nel 2023, dalla Haus Der Kunst di Monaco al MoMA PS1 di New York, passando per Singapore, Los Angeles, Seul e la Biennale Thailandia.
Dal quarto all’ottavo posto cinque artisti neri: l’americana Simone Leigh, femminista e protagonista all’ultima Biennale Arte; il regista britannico Isaac Julien, che ha sempre lavorato sulla blackness; il ghanese Ibrahim Mahama, una delle nuove star della scena contemporanea, narratore del mondo post-coloniale; l’americano Theaster Gates, storico pioniere delle pratiche sociali e da anni figura consolidata e autorevole, che ha partecipato anche alla Biennale Architettura di Lesley Lokko; l’artista e regista premio Oscar Steve McQueen, protagonista centrale e politico della scena delle immagini in movimento. Completano la top ten il collettivo di filmaker indigeni australiani Karrabing Film Collective e l’artista multimediale cinese Cao Fei.
Il primo non artista in classifica è il gallerista Larry Gagosian, un monumento del settore che sembrava avere perso influenza, ma che evidentemente è tornato sulla scena in modo importante. Scendendo lungo la classifica, poi si trovano al 15esimo posto il curatore della prossima Biennale Arte, il brasiliano Adriano Pedrosa, che porterà a Venezia il suo “Stranieri ovunque”; il gallerista David Zwirner, uno dei pesi massimi assoluti del mercato (19esimo); il filosofo della contemporaneità post gender Paul B. Preciado (22esimo); la filosofa del manifesto Cyborg Donna Haraway (31esima) e ancora due altri grandi nomi della scena internazionale delle immagini in movimento come Arthur Jafa (32esimo) e John Akomfrah (33esimo).
In una classifica dominata dagli artisti spicca il fatto che non ce ne sia neppure uno italiano. Ci sono però quattro donne che rappresentano molto di ciò che accade sulla scena del nostro Paese, e non solo. Cecilia Alemani, già curatrice della Biennale 2022, è al 53esimo posto, mentre tra le due figure di collezioniste più note Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (58esimo posto) sorpassa Miuccia Prada (72esima), mentre tra loro in classifica c’è anche la curatrice ecologista Lucia Pietroiusti (65esima). Di uomini dall’Italia, nessuna traccia.
È evidente che nelle scelte di Art Review si rispecchia quell’atteggiamento di attenzione a tutte le istanze inclusive, alle minoranze e alle diversità, che da anni attraversa il sistema dell’arte globale. È evidente che l’attenzione si concentra su certi tipi di ricerche e di posture politiche che sono, con tutte le critiche che non smettono di arrivare da più parti, quelle al centro del nostro tempo, quelle sulle quali si giocano le partite più importanti: l’ambiente, i diritti, la libertà della diversità. È altrettanto noto che ci sono accuse di “conformismo al contrario”, che per alcuni diventa a sua volta discriminazione verso gli ex dominatori. È una partita che non avrà mai dei vincitori certi, ma soprattutto che è probabile che non valga nemmeno la pena di giocare, perché troppo scivolosa, troppo esposta a strumentalizzazioni, troppo manipolabile da posizioni di retroguardia. Quindi viva la classifica di Art Review, che fotografa un mondo di potere nel quale, almeno in teoria, c’è spazio per molti, per quasi tutti, e questo in ogni caso è un passo avanti. Lo sappiamo bene che poi il sistema dell’arte è a sua volta fatto di denaro, investitori, fondi, a volte anche di operazioni di abbellimento di facciata. È il mercato, bellezza, avrebbero detto anni fa, e lo è davvero. Ma dietro tutto ciò, di cui è fondamentale essere consapevoli, è bello pensare che se la figura più influente è una donna come Nan Goldin, allora, sopra i fiumi di champagne, siamo certi che c’è anche sostanza, cuore, lotta e, soprattutto, arte. Vera, senza sconti e senza ammiccamenti.
(Leonardo Merlini)