Roma, 1 dic. (askanews) – “Mandela è morto” è il titolo della mostra inaugurata dalla fondazione Mandela per il decimo anniversario dalla scomparsa dell’eroe anti-Apartheid (5 dicembre 2013). Il Sudafrica e i sudafricani cercano così di voltare pagina, elaborando il vuoto lasciato dall’ex primo presidente nero del Paese (1994-1999). Verne Harris direttore generale ad interim della fondazione Nelson Mandela.
“É fondamentale per l’esposizione confrontarsi con il fatto che Madiba non è più tra noi e dobbiamo riflettere su ciò che questo significa. Ma vogliamo anche che l’esposizione sia interattiva, che non sia la nostra narrazione, ma che si crei uno spazio dove possiamo ascoltare ciò che gli altri hanno da dire”.
È infatti una narrazione contrastante quella che accompagna il ricordo di Mandela – secondo Verne – tra chi sostiene che fosse “un venduto e per questo oggi il Paese ha molti problemi”, e chi lo ritiene “un grande leader ed è un peccato che i suoi successi siano stati così scarsi”, o “se solo fosse uscito prima di prigione”.
Quando Mandela era in prigione beveva da delle tazze smaltate, come quelle esposte, lì a offrire una riflessione intima, immaginando che al mattino il presidente sudafricano tenendola stretta tra le mani si chiedesse come stava Zindzi, la figlia, o Winnie, la sua seconda moglie, o cosa facesse il Partito IFP (Partito della Libertà Inkata, ndr).
“Questa installazione – spiega Kneo Mokgopa, commissario della mostra – vi chiede di prendere un pugno di sale dalla bacinella di destra, tenerlo in mano e far sì che questo significhi qualcosa per voi, che sia un lutto per il paese, un omaggio a Mandela, o anche può riguardare le vostre lotte, i vostri percorsi o processi in questo paese. E mentre lo passate nella bacinella di destra diventa un impegno a lavorare nel Paese per riscattare davvero la promessa che ci siamo fatti nel 1994, quando l’apartheid finì e si svolsero le prime elezioni democratiche”.
La nipote e attivista di Madiba, Ndileka Mandela, racconta invece il significato del grande murales:
“È abbastanza fenomenale, intendo dire, il primo murales è come trasparente e puoi vederci la gente attraverso, è per dire: ‘sì, non c’è più, ma ci sono persone che continuano (per lui). Come possiamo assicurarci di non riferirci solamente a lui e a ciò che avrebbe detto, ma anche ciò che facciamo noi oggi? Nelson Mandela è una persona che è stata influenzata dal contesto della sua epoca”, ha spiegato Ndileka, chiedendosi “cosa poter fare ora” per continuare a difendere i suoi principi, ovvero amore, pace e uguaglianza, oltre ovviamente a un Sudafrica libero dal razzismo.