Roma, 24 ott. (askanews) – Favorire una crescente collaborazione tra clinici, medici di famiglia e associazioni di pazienti per contrastare l’avanzata del lupus eritematoso sistemico. Tre i pilastri su cui costruire un nuovo approccio alla malattia: diagnosi precoce, approccio multidisciplinare e terapie innovative. È l’invito che arriva nel corso del convegno “Lupus: focus su cause e sintomi di una patologia complessa”, promosso oggi a Roma, presso Sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, per volontà del Senatore Ignazio Zullo. “Il Lupus è una patologia che impatta gravemente sulla qualità della vita dei pazienti, in particolare delle giovani donne, e come politico impegnato nel migliorarla non posso che essere soddisfatto delle nuove prospettive che le persone affette da LES avranno anche grazie ai nuovi farmaci – commenta Zullo, membro della 10ª Commissione permanente del Senato (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) -. La ricerca progredisce e mette a disposizione nuove opportunità terapeutiche. In questo anno di legislatura ho potuto riscontrare quanto i temi delle patologie autoimmuni, come il LES, abbiano dei fili conduttori ed è per questo che con un gruppo di colleghi afferenti al Senato e alla Camera abbiamo deciso di riunirci in un Intergruppo Parlamentare “Prevenzione e cura delle malattie autoimmuni” che presenteremo ufficialmente il 21 novembre 2023 e per il quale abbiamo chiesto la partecipazione delle principali Società Scientifiche e delle Associazioni di Pazienti”. Il lupus è una malattia reumatica cronica autoimmune che coinvolge il sistema immunitario e colpisce vari organi e tessuti, che nei casi più critici possono rimanere danneggiati dal peggioramento della malattia. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la malattia colpisce soprattutto le donne in età fertile, prevalentemente dai 15 ai 40 anni, con un rapporto donna-uomo 6-10:1. In età pediatrica e dopo la menopausa, il rapporto si riduce a 3:1. Il lupus eritematoso sistemico (LES) in Italia colpisce oltre 27mila persone. “La malattia può esordire a tutte le età, tuttavia l’esordio più frequente è nelle donne in età fertile, con importanti implicazioni sulla gravidanza e sulla maternità. I sintomi iniziali, quali febbre, astenia, malessere generale, artralgie, sono spesso aspecifici, e questo è uno dei motivi che contribuisce alle difficoltà diagnostiche – spiega Gian Domenico Sebastiani, presidente nazionale della Società italiana di reumatologia (Sir) – . Una ricerca condotta dal Gruppo di Studio sul LES di recente insorgenza della Società Italiana di Reumatologia, che coordino personalmente da più di 10 anni, dimostra che il ritardo diagnostico nel nostro paese è ancora notevole, in media 20 mesi. In aggiunta alle difficoltà diagnostiche legate alla complessità del quadro clinico, contribuiscono al ritardo diagnostico la scarsa conoscenza della malattia da parte dei medici e della popolazione in generale, e la scarsa presenza di strutture reumatologiche di riferimento negli ospedali e presidi territoriali del SSN. Il paziente affetto da LES viene spesso visto da specialisti diversi dal reumatologo, che non sempre sono in grado di riconoscere la malattia”. “Il ritardo diagnostico – prosegue Sebastiani – genera gravi ripercussioni per il paziente e per la collettività, in quanto nel lasso di tempo che intercorre tra l’esordio della malattia e il riconoscimento diagnostico, il paziente accumula danno irreversibile a carico degli organi e apparati colpiti. Ad oggi disponiamo di farmaci molto efficaci che, sotto la guida del reumatologo esperto, sono in grado di modificare favorevolmente il decorso e la prognosi della malattia, con notevoli vantaggi per il singolo individuo e per la collettività in termini di risparmio sulla spesa sociale, dal momento che il danno è direttamente correlato all’invalidità”.