“Giornata internazionale dell’aborto sicuro”, Babbel e D.i.Re: il ruolo del linguaggio – askanews.it

“Giornata internazionale dell’aborto sicuro”, Babbel e D.i.Re: il ruolo del linguaggio

Nell’ambito dei diritti riproduttivi

Roma, 28 set. (askanews) – In occasione della Giornata internazionale dell’aborto sicuro, che ricorre annualmente il 28 settembre, Babbel – la piattaforma per l’apprendimento delle lingue che offre lezioni su app e live – e l’associazione nazionale D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza – hanno unito le forze per sensibilizzare e informare le persone in merito a questa importante tematica attraverso l’analisi di tutti quei termini, poco conosciuti o ancora percepiti come tabù, che caratterizzano il dibattito relativo ai diritti riproduttivi.

“La conoscenza del linguaggio tecnico adoperato quando si parla di sistema sanitario e procedure mediche può servire, in questo contesto, non solo ad orientarsi all’interno del dibattito e a prendervi parte, ma anche – e forse soprattutto – a far valere i propri diritti e a difendere quelli delle altre persone” ha commentato Sara Garizzo, Principal Content Strategist di Babbel.

La libertà di accesso all’aborto, ricorda una nota, è un diritto sancito, in Italia, dalla Legge 194/78, che permette di interrompere volontariamente la gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione, che sia per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Sebbene l’introduzione di questa legge abbia rappresentato un importante passo in avanti, la sua applicazione presenta ancora oggi alcune criticità. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno nel mondo gli aborti sono 73 milioni e di questi il 45% vengono effettuati in modo non sicuro; addirittura un terzo degli aborti non sicuri viene effettuato da personale non istruito che utilizza metodi pericolosi1, complici la scarsa accessibilità e la penalizzazione delle pratiche che mettono a rischio la salute di chi vi accede.

Per quel che riguarda la situazione in Italia, dall’ultima Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/782 emerge che, nel 2020, le interruzioni di gravidanza sono state 66.413, mentre gli aborti clandestini, secondo le stime dell’Istat elaborate in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità3, si attesterebbero in un intervallo compreso tra i 10.000 e i 13.000 casi all’anno.

Un elemento che, in Italia, ostacola fortemente l’accessibilità all’aborto e limita la libertà di scelta è l’obiezione di coscienza: nel 2020 in Italia i ginecologi e le ginecologhe obiettori e obiettrici di coscienza si attestavano al 64,6% della totalità. A questa percentuale si aggiungono gli anestesisti e le anestesiste (44,6%) e il personale non medico (32,6%)4.

“L’aborto in Italia è un diritto che ancora si cerca di mettere in discussione, sebbene da 45 anni ci sia una legge che lo tutela. Talvolta vengono usate parole e portate avanti campagne che colpevolizzano le donne che scelgono di abortire, trattandole da criminali. Per questo abbiamo aderito con convinzione a questa campagna di Babbel: la libertà passa anche dalla consapevolezza e dalla conoscenza” ha affermato la Dott.ssa Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. IVG: si tratta dell’acronimo di “interruzione volontaria di gravidanza”, il termine medico utilizzato per definire il ricorso alla conclusione della gestazione per ragioni esogene entro la ventesima settimana di gravidanza. L’IVG può essere eseguita mediante due modalità, quella farmacologica e quella chirurgica.

Aborto farmacologico: avviene con la somministrazione della pillola abortiva o Mifepristone, nota anche con la sigla ‘RU486’, dal concepimento fino alla nona settimana di gestazione. Il farmaco può essere assunto sia in una struttura medica autorizzata sia in autonomia. La pillola abortiva non deve essere confusa con la “pillola del giorno dopo”, un tipo di contraccettivo di emergenza da assumere per prevenire una gravidanza – e quindi non per causare un aborto – a seguito di un rapporto non protetto, entro le 72 ore dallo stesso; essa non è considerata come una metodologia di contraccezione regolare e, pertanto, ne si consiglia l’utilizzo solo in caso di emergenza. Aborto clinico chirurgico: questa tipologia di aborto viene effettuata – generalmente a partire dalla nona settimana ed entro i 90 giorni (salvo casi eccezionali particolarmente gravi) – tramite un intervento chirurgico, il raschiamento della cavità uterina. Aborto elettivo o volontario: si utilizza questo termine per riferirsi alle IVG la cui motivazione principale non dipende necessariamente da ragioni mediche, ma personali e/o sociali. Aborto terapeutico: nel caso in cui l’interruzione di gravidanza comporti rischi per la salute della madre oppure del feto, l’aborto, effettuato entro la ventesima settimana di gestazione, è descritto come “terapeutico”. Tuttavia, nonostante il limite temporale, l’aborto terapeutico può avvenire anche oltre i 90 giorni dal concepimento tramite la modalità chirurgica. Aborto spontaneo: con questo termine si indicano interruzioni di gravidanza non indotte tramite la chirurgia o i farmaci, ma che avvengono “naturalmente” nei primi 180 giorni di gravidanza (più comunemente si verificano nei primi tre mesi). Inoltre, ci sono due sottocategorie di aborto spontaneo: può essere “completo” se caratterizzato dall’espulsione totale dell’embrione o del feto privo di vita, oppure “incompleto” o “ritenuto” se l’espulsione è solamente parziale o se l’embrione o il feto, sebbene siano privi di attività cardiaca, sono presenti completamente all’interno della cavità uterina. Quando poi il feto non è più in vita, ma l’organismo non riconosce la perdita della gravidanza, l’aborto spontaneo è definito come “silente” (in inglese si utilizzano gli aggettivi “silent” e “missed”, traducibili come “silente” e “perso”): in questi casi la placenta continua a rilasciare ormoni e, di conseguenza, non è possibile rintracciare i sintomi più comuni di aborto spontaneo come sanguinamento vaginale, dolorosi crampi ed espulsione del tessuto fetale.

Consultorio familiare: istituiti nel 1975, sono strutture socio-sanitarie di assistenza presenti sul territorio italiano volte a favorire l’educazione alla maternità e paternità responsabili, prevalentemente rivolte alla salute e ai bisogni fisio-psicologici delle donne e di chi si trova in difficoltà socio-economiche. L’accesso è diretto, senza prescrizione del medico di famiglia e, per quel che riguarda i minori, senza l’autorizzazione dei genitori. Sebbene i consultori pubblici siano più diffusi e conosciuti, esiste anche una rete di consultori privati.

Obiezione di coscienza: con questo termine si fa riferimento al rifiuto ad ottemperare ad obblighi e doveri imposti dal sistema giuridico italiano qualora si giudichino inconciliabili con le proprie norme morali, etiche e religiose; nel caso dell’aborto, per esempio, il personale medico può rifiutarsi di effettuare la procedura; anche se lo Stato dovrebbe garantire sempre e in tutte le strutture medico-sanitarie l’accesso all’IVG, si stima che siano ben 22 gli ospedali con il 100% di obiezione (tra ginecologi/ginecologhe, anestesisti/e, personale infermieristico e OSS) e 72 quelli in cui la percentuale di obiezione è superiore all’80%5.

Diritti sessuali e riproduttivi: il diritto alla salute è un diritto fondamentale e universale. La salute non deve essere intesa solo come salute fisica o assenza di patologie, ma anche come stato di benessere generale: fisico, psicologico e sociale. La salute sessuale e riproduttiva è compresa in questo concetto. La legge 194 riprende questo principio, garantendo il diritto alla “procreazione cosciente e responsabile”. Ognuna ha il diritto di scegliere se e quando avere figli, senza che le loro scelte ostacolino in nessun modo il raggiungimento dei loro obiettivi. In virtù di questo principio il Sistema Sanitario garantisce ad ogni donna la possibilità di scegliere e il supporto necessario a sostenerla senza mai esercitare alcun giudizio.

Autodeterminazione: il diritto all’autodeterminazione si concretizza nel diritto di scegliere liberamente se sottoporsi a pratiche che coinvolgono il proprio corpo e le proprie aspettative di salute e di vita. Questo diritto è sancito dall’articolo 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Libertà di scelta: qualunque tipo di pratica medica deve ottenere il consenso informato del/della paziente per poter essere svolta. L’articolo 1 comma 1 della legge 219/2017 stabilisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Il consenso informato deve essere documentato e devono essere fornite informazioni chiare e sincere ai/alle pazienti.