Milano, 25 set. (askanews) – Se è vero che con l’inflazione cresce l’attenzione allo speco alimentare da parte degli italiani, esistono categorie di prodotti che più di altri, per via del metodo di conservazione, finiscono meno nella spazzatura. E’ il caso dei surgelati, di cui si buttano 13 grammi a testa a settimana, contro uno spreco complessivo di oltre 524 grammi di cibo pro capite, pari al 2,6%. A evidenziarlo è Luca Falasconi, docente di Politica agraria dell’Università di Bologna, che in collaborazione con l’Istituto italiano alimenti surgelati, in occasione della Giornata internazionale contro lo spreco alimentare ricorda perché il tema del food waste abbia assunto negli ultimi anni un’importanza crescente.
In Italia, come nel resto dei Paesi sviluppati, lo spreco alimentare avviene principalmente tra le mura domestiche. “La top 5 dei cibi più sprecati – spiega Falasconi – fa registrare al primo posto la frutta fresca (24 grammi pro capite a settimana), seguita da: insalate (17,6 gr), cipolle, aglio e tuberi (17,1 gr), pane fresco (16,3 gr), e verdure (oltre 16 gr), come emerge dalle rilevazioni dell’Osservatorio Waste Watcher”. Tra gli alimenti meno sprecati dagli italiani, invece, emergono i surgelati. “Di questi prodotti ne sprechiamo mediamente 715 grammi all’anno a persona, che a livello nazionale fa 42 mila tonnellate circa – spiega Falasconi – ma rappresentano solo il 2,6% di spreco individuale complessivo. Parliamo di un dato del tutto residuale ed ecco perché un maggior consumo di cibi surgelati può essere considerato come parte ideale di una strategia di riduzione dello spreco alimentare”.
Il tema della riduzione degli sprechi è stato recentemente al centro dell’attenzione anche del legislatore europeo: per accelerare i progressi dell’UE, la Commissione europea ha infatti proposto che entro il 2030 gli Stati membri riducano gli sprechi alimentari del 10% a livello di trasformazione e produzione di alimenti, e del 30% (pro capite) complessivamente a livello di vendite al dettaglio e consumo (ristoranti, servizi di ristorazione e famiglie).
“Le ragioni alla base di questo fenomeno – spiega ancora Falasconi – sono principalmente comportamentali e includono: preferenze personali come gusto e questioni culturali; abitudini come la frequenza nel fare acquisti; atteggiamenti legati a pensieri e sentimenti; norme sociali, conoscenze e abilità”. Il cibo può essere sprecato, infatti, a causa della scarsa comprensione di alcune informazioni riportate sulle etichette, come la data di scadenza o le indicazioni di conservazione degli alimenti contenuti. Allo stesso modo, lo spreco alimentare può essere correlato a una mancanza di abilità nella preparazione e nel porzionamento del cibo stesso, oppure alla minore comprensione degli impatti ambientali, economici e sociali legati allo spreco. In ogni caso, un ricorso maggiore all’utilizzo di prodotti surgelati tra le mura domestiche sembra essere in grado di contribuire a contenere il fenomeno, stando alle stime di uno studio della Sheffield Hallam University, secondo cui ridurrebbero lo spreco in casa di analoghi prodotti freschi del 47%.
Anche le aziende del comparto sottozero hanno adottato strategie per ridurre gli sprechi alimentari, come l’utilizzo di materie prime con imperfezioni estetiche. “Lo spreco alimentare – spiega Giorgio Donegani, presidente Iias – non comporta solo una perdita economica per il consumatore, ma rappresenta anche un tema sociale, visto che con quanto si spreca si potrebbe sfamare un terzo della popolazione mondiale. ‘Sprecare’ significa non solo non poter garantire cibo sufficiente per tutti, ma anche perdere risorse preziose usate nella produzione, come terreno fertile, acqua, energia, concimazioni. I prodotti surgelati aiutano la lotta allo spreco perché permettono un utilizzo ottimale delle materie prime che arrivano pronte per l’uso in cucina”.