Milano, (askanews) – L’Italia è all’ottavo posto tra i Paesi dell’Unione europea nella classifica della competitività dei sistemi di ricerca e innovazione nelle Life Sciences, le Scienze della Vita, un settore che comprende tra gli altri il farmaceutico, la biotecnologie per la salute e i dispositivi medici. Nonostante sia il terzo Paese in termini di export, all’Italia servono innanzitutto più laureati per questo ecosistema produttivo con elevato potenziale di crescita ma che difficilmente riesce a trattenere in Patria i ricercatori. Lo spiega Valerio De Molli, Ceo di The European House – Ambrosetti, che ha commentato con Askanews i risultati del nuovo Ambrosetti Life Sciences Innosystem Index presentato a Milano per la nona edizione del Rapporto sul “Ruolo dell’Ecosistema dell’innovazione nelle scienze della Vita e la competitività dell’Italia”.
Intanto la buona notizia è che miglioriamo di una posizione in classifica nell’ultimo triennio e quindi dimostriamo segnali di vitalità e di crescita. Non è un buon risultato se consideriamo che siamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa, l’ottava economia del mondo, e quindi essere quasi a metà classifica tra 27 Paesi europei non è certo un risultato di cui essere orgogliosi.
Stiamo perdendo talenti, questa è la cosa più grave in assoluto. L’otto per cento dei laureati italiani va a cercare successo e avventura all’estero e lo fa sostanzialmente perché vengono pagati meglio, e con migliori prospettive di crescita e di carriera. Questo è gravissimo e costa al Paese 3,5 miliardi di euro all’anno”.
Ma che cosa bisogna fare per trattenere i nostri ricercatori? Intanto bisogna pagare di più i neolaureati ma in generale gli stipendi di tutti gli italiani, se consideriamo che secondo i dati Ocse l’Italia è l’unico Paese che negli ultimi trenta anni ha il segno meno davanti agli stipendi. Eravamo in media pagati più dei tedeschi trenta anni fa, ora siamo al trenta per cento in meno.
Secondo: bisogna anche avere la forza, il coraggio, la determinazione di dare più spazio ai giovani. Siamo un Paese vecchio per vecchi e che privilegia la gerontocrazia al premio ai giovani.