Roma, 4 lug. (askanews) – In Italia l’economia circolare e i green jobs rappresentano la strada del futuro. Ne è convinta la gran parte dei cittadini sempre più informata sul tema, attenta alle questioni ambientali e convinta che l’Italia debba procedere e accelerare in questa direzione. Nel 2023 cresce, infatti, sia la quota dei conoscitori dell’economia circolare che arriva al 45% (segnando un incremento del +5% rispetto a cinque anni fa); sia il numero dei cittadini – ben il 60% – secondo i quali i ‘green jobs’ aumenteranno in futuro (+12% rispetto al 2022). È fondamentale però una maggiore consapevolezza della leadership italiana nel settore visto che il 43% dei cittadini non sa e non ritiene credibile che l’Italia abbia la percentuale più alta in Europa sul riciclo dei rifiuti. Idee chiare e grande consapevolezza invece sulla crisi climatica: il 63% dei cittadini ritiene i disastri (siccità, alluvioni e trombe d’aria, etc.) la prima conseguenza dei cambiamenti climatici che generano a cascata conseguenze economiche per gli individui (aumento del costo dei prodotti alimentari e della vita più in generale). Le azioni di protesta come imbrattare monumenti e opere d’arte sono ritenute necessarie e comprensibili dal 20% degli intervistati, mentre sono bocciate dal 49%, che le considera gesti irresponsabili e incomprensibili.
A tracciare questo quadro è la X edizione dell’Ecoforum 2023, la conferenza nazionale sull’economia circolare organizzata dal 4 al 6 luglio a Roma da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club con il patrocinio del Ministero della Transizione Ecologica e della Regione Lazio, e che si è aperta oggi con la presentazione del sondaggio Ipsos ‘L’Italia e l’economia circolare’. Economia circolare, green jobs, crisi climatica e ambiente i quattro temi al centro della ricerca realizzata a cura di CONOU, Legambiente, Editoriale Nuova Ecologia e che rappresentano i pilastri su cui il Paese deve lavorare attraverso politiche più lungimiranti e interventi concreti. In particolare l’Italia deve accelerare il passo sull’economia circolare, superando i tanti ostacoli burocratici e tecnologici che ancora frenano lo sviluppo di questo nuovo modello di sviluppo economico. Al tempo stesso deve colmare anche i gravi ritardi sulla qualità della raccolta differenziata, a partire da quella dell’organico. Ad oggi solo in un impianto su quattro lo scarto della frazione organica è inferiore al 2,5%, quantità massima ottimale per ottenere compost di qualità in uscita dagli impianti. Nell’organico raccolto ancora ci sono percentuali significative di materiali non compostabili (MNC) che compromettono la qualità e sono un problema per chi gestisce gli impianti. Stando ai dati elaborati da Legambiente attraverso un’indagine diretta e mirata agli impianti di trattamento della frazione organica, sacchetti di plastica non compostabile (4,2%), seguiti da ‘plastica in film, imballaggi in plastica e altra plastica’ (2,2%), sono i materiali più trovati. Le modalità di raccolta incidono molto sulla qualità: con la raccolta differenziata mista (stradale + porta a porta) la percentuale di scarti è del 15%, mentre con le raccolte domiciliari la percentuale di materiali estranei diminuisce al 3,4%.
Riciclo e sviluppo delle filiere dell’economia circolare, su questo si basano le 5 priorità che Legambiente e Kyoto Club indirizzano al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin presente alla prima giornata dell’Ecoforum:
1) Implementare la capacità impiantistica di riciclo e riuso, a partire dalle filiere più urgenti, quali l’organico, colmando il divario tra nord e centro sud del Paese e fermando il turismo dei rifiuti verso le regioni più infrastrutturate, perseguendo la strategia ‘Rifiuti zero, impianti mille’. 2) Applicare il principio ‘chi inquina paga’ per disincentivare lo smaltimento in discarica e favorire la prevenzione e il riciclo dei rifiuti. 3) Attivare politiche industriali strutturate a supporto delle imprese che già investono o che vogliono investire in questa direzione. 4) Supportare dal livello centrale gli enti locali destinatari dei finanziamenti del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. 5) Costruire una filiera nazionale di approvvigionamento delle materie prime critiche per evitare di alimentare future dipendenze da paesi esteri, dando massima priorità all’economia circolare dai RAEE.
‘Nonostante in Italia l’economia circolare abbia trovato da molti anni un terreno fertile – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – come dimostrano le tante esperienze virtuose di comuni, consorzi, aziende pubbliche e private, sono ancora diversi gli ostacoli da rimuovere e i ritardi da colmare. Norme farraginose, autorizzazioni lente, controlli pubblici a macchia di leopardo, progetti calati dall’alto non aiutano a far decollare l’economia circolare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Servono mille nuovi impianti di economia circolare e progetti innovativi che vadano nella giusta direzione, come quelli che stiamo raccontando e visitando dal Nord al Sud della Penisola con la nostra campagna nazionale sui cantieri della transizione ecologica. È fondamentale anche rivendicare la nostra leadership sull’economia circolare in Europa, per rafforzare ulteriormente il Green Deal, al centro di polemiche strumentali, davvero incomprensibili, che non fanno altro che isolare l’Italia e il suo sistema produttivo nel percorso verso la decarbonizzazione del vecchio Continente entro il 2050’.
‘L’Italia vanta molti record sull’economia circolare – dichiara Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club – ci sono però due problemi. Il primo è che spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto e non li valorizziamo abbastanza. Il secondo è che sono record ottenuti dal vitale sistema economico italiano senza essere appoggiati da una visione politica generale lungimirante. Ciò mette a rischio quegli stessi record: dobbiamo avere più coraggio nello spingere su innovazione e sostenibilità a partire dalle risorse messe a disposizione dall’Europa sul green deal e invece troppo spesso assistiamo a frenate incomprensibili su questi temi da parte della politica e delle classi dirigenti’.
Sondaggio Ipsos, focus materiali riciclabili: tra gli altri dati, per i cittadini la plastica, gli olii esausti ed i RAEE sono i materiali ritenuti più pericolosi per l’ambiente, in particolare la plastica dura. I materiali riconosciuti come più facilmente rigenerabili sono quelli percepiti come meno pericolosi per l’ambiente: il vetro e la carta. Per quel che riguarda l’olio minerale esausto, quasi metà del campione sa che viene raccolto (+2% dal 2022). Una volta informati i cittadini che non ne sono a conoscenza che l’olio minerale esausto raccolto può essere completamente rigenerato e riutilizzato, quasi 1 italiano su 2 vede in questa pratica un supporto all’indipendenza energetica del Paese.
‘C’è ancora molto lavoro da fare perché in Italia si diffonda una piena contezza dell’importanza e necessità dell’economia circolare per l’ambiente e lo sviluppo, ma è incoraggiante che in un solo anno il numero delle persone consapevoli dell’urgenza di questa sfida sia cresciuto con all’avanguardia i più giovani. L’economia circolare è un cambio di approccio ‘totale’ che dovrà pervadere tutta l’economia, ma, soprattutto, il nostro sistema culturale e valoriale. Spiace peraltro che gli Italiani non abbiano consapevolezza di come il nostro Paese abbia dimostrato, nell’Economia Circolare, una eccellenza di risultati e di modello organizzativo – I Consorzi – senza pari in Europa. L’esperienza del CONOU, che rigenera tutto (98%) l’olio minerale usato, dimostra non solo che l’economia circolare non è un’utopia, ma anche che è una leva in grado di apportare benefici concreti: nel solo 2022, grazie al lavoro delle imprese del CONOU, si è evitata l’immissione in atmosfera di 64 mila tonnellate di CO2 e di una serie di innumerevoli inquinanti, ma anche si sono risparmiati circa 130 milioni di euro di importazioni di greggio. Il futuro dunque è già qui, ma non può prescindere dalla collaborazione sinergica di tutti – Istituzioni, imprese, cittadini – per accelerare verso la transizione circolare’, commenta Riccardo Piunti, Presidente del CONOU.
‘L’Italia ha un sistema di raccolta differenziata e riciclo che funziona, e che ha costi inferiori rispetto agli altri Paesi. Oggi, infatti, da noi più di sette imballaggi su dieci trovano una seconda vita, superando ampiamente la percentuale di riciclo degli imballaggi chiesta dall’Europa entro il 2025. Un sistema di cui andare orgogliosi, da valorizzare e difendere. È importante ora continuare a impegnarsi perché la raccolta cresca in qualità, e non solo in quantità, e che i risultati migliorino in tutte le aree del Paese, incluse quelle di alcune Regioni del Mezzogiorno in cui ancora mancano impianti per il recupero dei rifiuti. Ricordando sempre che l’obiettivo finale del nostro lavoro è il riciclo: in un Paese povero di materie prime come l’Italia, recuperare gli imballaggi e trasformarli in nuova materia è prioritario. Sempre più cittadini se ne rendono conto. Da uno studio che abbiamo appena commissionato a IPSOS, infatti, emerge come il 79% degli italiani di norma preferisca acquistare prodotti imballati in confezioni riciclabili, e il 74% sia normalmente attento a scegliere packaging che riportino in etichetta indicazioni sulla corretta raccolta differenziata’, dichiara Ignazio Capuano presidente CONAI
Italia indietro sulla qualità della raccolta differenziata, a partire da quella dell’organico. I dati. La FORSU (La Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) rappresentata il 39% dei rifiuti differenziati (7,4 milioni di tonnellate nel 2021) e viene raccolta in maniera differenziata nel 96% dei comuni italiani. Secondo i dati forniti da Ispra e rielaborati da Legambiente, nel 2021 sono stati trattati 8,3 milioni di tonnellate di materiale di materiale organico e di queste ben il 17% (1,4 milioni di tonnellate) è risultato essere un materiale di scarto. Negli impianti, nell’11% dei casi è arrivato materiale con una percentuale di scarto superiore al 50%, nel 57% gli scarti hanno rappresentato tra il 5 e il 50%. Solo in un impianto su quattro lo scarto della frazione organica è stato inferiore al 2,5%, quantità massima ottimale che permette di ottenere compost di qualità in uscita dagli impianti.