Roma, 4 lug. (askanews) – ‘Long Covid’ è un termine-ombrello che descrive la persistenza di segni e sintomi, non spiegabili altrimenti, dopo un’infezione acuta da Sars CoV-2 (Covid-19), con un impatto negativo sul funzionamento e il benessere nella vita quotidiana di chi ne è affetto. Questa sindrome, riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Post COVID-19 Condition o long COVID), colpisce sia adulti che bambini. In questi ultimi anni sono stati pubblicati centinaia di lavori su entrambe queste popolazioni e sono state individuate diverse alterazioni biologiche associate al Long Covid; ma la sua patogenesi resta a oggi materia di ricerca, non essendo stata definita con precisione. Molti studi si stanno oggi focalizzando sulle conseguenze della persistenza del virus o parti di esso all’interno dell’organismo; questo potrebbe infatti essere il bandolo della matassa per spiegare l’insorgenza del Long Covid. Uno studio appena pubblicato su Lancet Microbe da Danilo Buonsenso, docente di Pediatria all’Università Cattolica e dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e colleghi è andato a fare il punto della situazione. La ricerca, che in poche ore ha superato le 115.000 visualizzazioni sul profilo Twitter di Buonsenso, si innesta sul filone Long Covid pediatrico, che vede impegnato da tempo il giovane ricercatore del Gemelli, indicato lo scorso anno dalla rivista scientifica Science come uno dei tre ricercatori mondiali ‘top’ in questo settore.
“In questa ricerca – spiega Buonsenso – abbiamo analizzato le attuali conoscenze sulla persistenza di parti del virus Sars-CoV-2 nei bambini, dopo la fase acuta dell’infezione. Partendo dalle osservazioni che dimostrano come il virus possa persistere negli adulti, abbiamo effettuato una revisione della letteratura e analizzato gli studi che hanno cercato l’Rna o gli antigeni di Sars-CoV-2 nei bambini deceduti per Covid-19 o sindrome infiammatoria sistemica, o che fossero stati sottoposti a biopsia o intervento chirurgico per vari motivi. Abbiamo condotto questa analisi – spiega – perché ci sono crescenti evidenze che negli adulti la persistenza del virus in diversi organi possa essere la chiave per la comprensione e il trattamento del Long Covid”.
La ricerca effettuata dal gruppo del Gemelli ha dimostrato, per la prima volta al mondo, che nei bambini, indipendentemente dalla gravità iniziale del Covid-19, il virus Sars-CoV-2 può diffondersi in tutti gli organi durante le fasi acute dell’infezione e persistere nell’organismo per settimane o mesi. “Alla luce di questi risultati – spiega l’esperto – in questo lavoro siamo dunque andati a riesaminare le attuali conoscenze sugli effetti biologici della persistenza virale nel corso di altre infezioni virali e abbiamo evidenziato nuovi scenari da esplorare tramite la ricerca clinica, farmacologica e di base. Ci auguriamo che lo studio che abbiamo appena pubblicato fornisca le basi per migliorare la comprensione e la gestione delle sindromi post-virali, tra le quali il Long Covid, e guidi il disegno di futuri studi volti ad analizzare queste condizioni”.
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per Long Covid si intende la persistenza o la comparsa di nuovi sintomi (l’OMS ne elenca oltre 200) 3 mesi dopo l’infezione iniziale da Sars CoV-2, che persistano per almeno 2 mesi, senza altra spiegazione. Gli studi condotti finora suggeriscono che a essere affetto da Long Covid potrebbe essere il 10-20% della popolazione che ha contratto l’infezione da Sars CoV-2. Secondo una recentissima stima fatta dall’OMS, questa condizione potrebbe ostacolare il ritorno alla vita normale di 36 milioni di cittadini europei (1 su 30 negli ultimi 3 anni).