Roma, 3 lug. (askanews) – Più portati per la matematica o più inclini a praticare certi sport: non solo lo si nasce, ma lo si diventa. Se la relazione tra i nostri geni e certe caratteristiche cognitive è ben dimostrata, ora uno studio dell’Università di Ferrara rivela che a plasmare le abilità cognitive dei vertebrati concorre, molto più di quanto credessimo, anche l’ambiente dove cresciamo.
In uno studio pubblicato su una delle più autorevoli riviste di biologia evoluzionistica, ‘Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences’, le ricercatrici e i ricercatori di Unife hanno analizzato in laboratorio i processi di apprendimento, dimostrando il ruolo fondamentale dell’esperienza e della plasticità fenotipica, cioè la capacità di sviluppare caratteristiche differenti e abilità a partire dalla medesima componente genetica.
“Le specie animali, inclusi gli esseri umani, mostrano un’ampia variabilità individuale nella cognizione, che ad oggi è difficile da spiegare. Ad esempio, alcuni individui si comportano bene in alcuni compiti cognitivi ma mostrano difficoltà in altri. Il nostro studio dimostra quanto sia importante la relazione tra esperienza, geni, e comportamento per comprendere le differenze individuali”, chiosa il Professor Cristiano Bertolucci, ordinario di Zoologia del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife e coordinatore dello studio.
Il gruppo di ricerca ha studiato gli schemi di apprendimento in una colonia di Guppy, piccoli pesci d’acqua dolce cresciuti in due diversi ambienti: uno con cibo disponibile sempre nello stesso momento e luogo, l’altro con cibo disponibile in momenti e in luoghi casuali.
“Al termine del trattamento abbiamo misurato le capacità cognitive dei pesci con dei test specifici per l’apprendimento. Per esempio, presentando stimoli di diverso colore associati al cibo e registrando il tempo necessario a comprendere e preferire il colore corretto. Oppure modificando nel tempo il colore associato al cibo. I risultati hanno indicato che i pesci allevati nell’ambiente ‘prevedibile’ hanno sviluppato maggiori capacità di apprendimento, imparando rapidamente a selezionare il colore. Gli altri, invece, hanno sviluppato una maggiore flessibilità cognitiva, inibendo rapidamente la scelta del ‘vecchio’ colore corretto in favore di un ‘nuovo’ colore associato al cibo”, racconta la dottoressa Giulia Montalbano di Unife, coautrice dello studio.
“È interessante notare come questo tipo di studi stia cambiando il nostro modo di affrontare la ricerca, anche dal punto di vista più pratico. Studiare la plasticità cognitiva non è facile nell’uomo, poiché non è possibile alterare le esperienze delle persone sperimentalmente. Se in passato i pesci erano considerati vertebrati con minori capacità cognitive, oggi sappiamo che almeno le basi del loro sistema cognitivo potrebbero essere le stesse di uccelli e mammiferi. Nei pesci possiamo simulare scenari di esperienza che, ora sappiamo, modificano le capacità cognitive. Pertanto, i pesci possono diventare il modello ideale per scoperte innovative, ad esempio, nello studio di malattie del sistema nervoso che rallentano il funzionamento cognitivo”, conclude il dottor Tyrone Lucon-Xiccato di Unife, coautore dello studio.