Roma, 9 giu. (askanews) – Uno studio osservazionale condotto a livello globale tra il 2018 e il 2020 ha dimostrato che molti neonati muoiono perché gli antibiotici usati per curare la sepsi stanno perdendo la loro efficacia. Lo studio ha coinvolto più di 3200 neonati affetti da sepsi in 19 ospedali di 11 diversi Paesi del mondo. Per l’Europa, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha partecipato come struttura di controllo in termini di qualità rispetto ai Paesi in via di sviluppo inclusi nella ricerca, dove è stata rilevata un’elevata mortalità tra i neonati con emocolture positive (in media quasi 1 su 5) e un alto livello di resistenza agli antibiotici. Grazie allo studio, sono stati raccolti dati importanti e sviluppati nuovi strumenti che aiuteranno a migliorare il trattamento dei neonati con sepsi. I risultati della ricerca sono stati pubblicati in un articolo su PLOS Medicine, a cui ha contribuito un gruppo di oltre 80 ricercatori provenienti da quattro diversi continenti.
Lo studio è stato condotto dalla Global Antibiotic Research and Development Partnership (GARDP), in collaborazione con l’Università St George’s di Londra; Penta – Child Health Research, una rete di ricerca scientifica indipendente che si occupa di salute materno-infantile, con sede a Padova; il Medical Research Council Clinical Trials Unit dell’University College London, il cui gruppo di ricerca ha guidato l’analisi dei dati; e infine, l’Università di Anversa. “Questo studio è stato fondamentale per comprendere meglio il tipo di infezioni che colpiscono i neonati negli ospedali, i germi che le causano, i trattamenti utilizzati e il motivo per cui si registra un così alto numero di decessi. Ci ha fornito informazioni preziose che ci aiuteranno a progettare meglio gli studi clinici e, in ultima analisi, a migliorare le cure e i risultati clinici dei neonati con sepsi”, ha dichiarato Manica Balasegaram, direttore esecutivo di GARDP.
La sepsi è un’infezione del sangue potenzialmente letale, che ogni anno colpisce 3 milioni di bambini in tutto il mondo. Sono 214.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa di sepsi resistente agli antibiotici, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito. I neonati sono tra i pazienti più a rischio di sviluppare infezioni gravi, poiché il loro sistema immunitario è ancora poco sviluppato. Il tasso di mortalità nei 19 ospedali coinvolti nello studio è stato molto variabile, oscillando tra l’1,6% e il 27,3%, con numeri nettamente più elevati nei Paesi a basso e medio reddito. Allo studio hanno partecipato gli specialisti degli ospedali di Bangladesh, Brasile, Cina, Grecia, India, Italia, Kenya, Sudafrica, Thailandia, Vietnam e Uganda.
“Lo studio ha messo in luce la cruda realtà delle infezioni resistenti agli antibiotici, soprattutto negli ospedali dei Paesi meno sviluppati, dove spesso mancano infermieri, letti e spazio. Il rischio di infezioni è molto alto e la maggior parte delle infezioni è resistente agli antibiotici. Se un antibiotico non funziona, spesso il bambino muore. Questa situazione deve cambiare con urgenza. Abbiamo bisogno di antibiotici che coprano tutte le infezioni batteriche”, ha dichiarato Sithembiso Velaphi, primario di pediatria presso il Chris Hani Baragwanath Academic Hospital di Johannesburg, Sudafrica. Lo studio ha rivelato inoltre un’ampia e preoccupante differenza nei trattamenti. Negli ospedali che hanno preso parte allo studio sono state rilevate oltre 200 diverse combinazioni di antibiotici in uso, con frequenti cambi di antibiotici nel corso della terapia per far fronte all’elevata resistenza ai trattamenti Per questa stessa ragione, molti medici si sono visti costretti ad usare antibiotici come i carbapenemi, classificati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come antibiotici “Watch”, cioè da preferirsi solo per casi specifici e limitati, poiché è importante preservarne l’uso. Tuttavia, spesso i carbapenemi sono risultati essere gli unici antibiotici in grado di curare l’infezione. Infine, antibiotici di ultima linea sono stati prescritti nel 15% dei neonati con sepsi che hanno preso parte allo studio. Il batterio più comune è risultato essere il Klebsiella pneumoniae, solitamente acquisito all’interno dell’ambiente ospedaliero.