Milano, 5 giu. (askanews) – Si entra nel Teatro Gerolamo a Milano, quella “piccola Scala” frequentata anche dalle marionette dei Colla, e ci si trova avvolti dal mondo visivo di Diego Marcon, artista italiano che costruisce attraverso le immagini in movimento dei misteriosi drammi privati che continuano ossessivamente a ritornare e che restano nella mente dello spettatore e non se une vanno. È il nuovo progetto della Fondazione Nicola Trussardi che, per festeggiare i propri 20 anni, ha organizzato la mostra “Dramoletti” di Marcon, curata da Massimiliano Gioni.
“In questo luogo e con le sue opere – ci ha detto il direttore artistico della Fondazione Trussardi – Diego Marcon ci presenta un’immagine dell’infanzia più in chiaroscuro, più complessa, e ci invita anche a seguire le definizioni di ciò che ci caratterizza come esseri umani. Il suo è un mondo di pupazzi, pupazzi digitali o marionette filmiche in celluloide, che ci invitano a chiederci che cosa ci definisce come esseri umani in un mondo che sta virando sempre più verso l’artificialità”.
Il mondo di Marcon vive spesso della tecnologia digitale, ma questa poggia su basi che hanno la tragicità tipica dell’umano; i suoi bambini, come nel video “Ludwig” che occupa la platea del teatro, diventano rapidamente figure universali, anche grazie all’uso del canto, che crea un contrappunto decisivo, che in certo senso fa da carburante al lavoro. “C’è un impianto formale estremamente rigoroso, studiato e strutturato – ci ha detto Marcon – però c’è anche un impianto drammaturgico e, meglio, sentimentale, proprio del cinema di intrattenimento, dello spettacolo inteso come Società dello spettacolo, quindi con l’utilizzo dell’emozione a volte anche in maniera un po’ sinistra per il coinvolgimento dello spettatore. Il disegno di un dispositivo emotivo è quello che mi interessa molto nel lavorare alle mostre”.
I film, sospesi tra la favola e l’incubo, tra il grottesco e l’abisso, sono opere che vivono in un terreno ibrido, doloroso. Ma anche nelle profondità di un video come “The Parents’ Room”, che canta di un uomo che ha sterminato la propria famiglia, si percepisce un senso inspiegabile di bellezza che alimenta sia l’angoscia privata delle spettatore sia la forza del lavoro.
E per la Fondazione Trussardi quello al Teatro Gerolamo è l’ennesimo capitolo di una storia fatta di musealità itinerante, elemento questo che da organizzativo è diventato ormai a tutti gli effetti di vera pratica artistica. E per la presidente Beatrice Trussardi si tratta di una scelta da confermare. “La formula che abbiamo pensato 20 anni fa e che abbiamo portato in Galleria Vittorio Emanuele con la mostra prima mostra – ha spiegato – abbiamo poi deciso molto continuamente di continuarla. E quindi è proprio questa nostra dimensione itinerante, mobile, che ci consente anche di essere molto flessibili e adattarci alle situazioni, pur creando dei progetti completamente da zero, per poi accenderli e renderli possibili per circa un mese e quindi improvvisamente smontarli”.
Le mostre passano, dunque, ma non il progetto e, nel caso di Diego Marcon, neppure l’intensità dei suoi racconti, tragici e quotidiani come la vita.