Roma, 29 mag. (askanews) – La “valanga conservatrice” alle amministrative di domenica 28 maggio – con dodici comunità autonome su diciasette e diverse grandi città in gioco – ha provocato un terremoto nella politica spagnola, alzando un vento di fine ciclo che ha investito in pieno i socialisti di Pedro Sanchez.
Di qui che il premier abbia annunciato di voler “ridare la parola all’elettorato” già il 23 luglio, per “chiarire quali politiche debbano venire adottate” anche in vista del semestre di presidenza europeo della Spagna. Tradotto, Sanchez ritiene di avere migliori chance di vittoria fra due mesi che non fra sei, alla naturale scadenza del mandato – e malgrado la pesante sconfitta, non è privo di frecce al suo arco.
LA SITUAZIONE A SINISTRA
Stando ai sondaggi, il Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) arrivava alle amministrative con un piccolo vantaggio sulla destra del Partido Popular (Pp) di circa due punti e mezzo, che i risultati hanno di fatto capovolto, tramutandoli in un distacco: 23% ai conservatori e 20,5% ai socialisti, circa 750mila voti. Non è certo un divario incolmabile, considerando che la mobilitazione a destra è stata molto maggiore che non a sinistra, situazione che nelle politiche potrebbe essere quanto meno riequilibrata.
Certo Sanchez ha perso la comunità autonoma di Valencia, feudo del PP per decenni riconquistato solo di recente dalla sinistra, quella dell’Aragona e la città di Siviglia – complici non pochi scandali elettorali: ma un altro motivo per anticipare le elezioni è proprio di non lasciare che il nuovo potere locale del PP si sedimenti e si trasformi in un assedio lungo e logorante al governo.
Una terza ragione infine sta nella composizione dell'”altra sinistra”, parte integrante di quella mobilitazione elettorale si cui Sanchez ha assoluto bisogno se vuole rimanere alla Moncloa, e la cui assenza spiega in buona parte il risultato di ieri: Podemos ha subito una dura sconfitta, ma Sumar – la formazione guidata dalla vicepremier Yolanda Diaz – alle amministrative non concorreva.
Una loro eventuale alleanza alle politiche, per la quale dopo l’anticipo del voto la legge elettorale concede ora appena dieci giorni, potrebbe raccogliere un margine di voto decisivo; se non dovesse accadere, per il Psoe si farebbe più difficile ma in compenso riacquisterebbe comunque l’egemonia a sinistra.
LA SITUAZIONE A DESTRA
Per il leader del PP, Alberto Nuñez Feijoo, la notte delle amministrative sembrerebbe aver portato solo buone notizie; la riconquista di Valencia, l’estinzione di Ciudadanos risucchiato in toto dalla casa madre, il sorpasso dei voti ai danni del Psoe.
Eppure non manca qualche spina, interna ed esterna a un partito il cui obbiettivo primario – come del resto per i socialisti – è tornare al bipolarismo di una volta. In molte comunità autonome e consigli comunali il PP potrà governare solo con l’appoggio dell’estrema destra di Vox: un fattore che mette a rischio quel moderantismo che Nuñez Feijoo ritiene decisivo per riconquistare il voto centrista.
Cedere a Vox significherebbe irrobustirne la presenza – allontanando l’obbiettivo dell’egemonia a destra – mentre rinunciare al suo contributo vanificherebbe il risultato elettorale. Ma anche all’interno del partito la riconferma di Isabel Diaz Ayuso a Madrid – con la maggioranza assoluta – getta un’ombra pericolosa sulla leadership di Nuñez Feijoo, che invece di poter cuocere a fuoco lento l’esecutivo ora avrà solo due mesi di tempo per decidere quale strategia politica elaborare.
BARCELLONA
Detto di Madrid, saldamente in mano alla destra, e della perdita di Siviglia, Barcellona rappresenta l’unica buona notizia per la notte elettorale socialista: anche se la vittoria è andata ai conservatori catalanisti di Junts, il complesso gioco delle alleanze potrebbe infatti portare al Comune il candidato del Psc, Collboni.
Ma anche in questo caso l’anticipo delle elezioni spariglia le carte: le due faglie della politica catalana, destra-sinistra e indpendentisti e non, infatti non coincidono e a decidere quale sarà l’orientamento toccherà ora alla sinistra indipendentista di Erc. Se quest’ultima sceglierà per le politiche un fronte indipendentista allora dovrà permettere l’investitura del candidato di Junts, ipotesi fino a ieri impensabile dati i pessimi rapporti fra i due partiti; altrimenti, dovrà favorire i rivali socialisti sia dentro che fuori dalla Catalogna, a rischio tuttavia di perdere consensi.