Roma, 18 mag. (askanews) – Tra i grandi temi economici e, ancor di più, geopolitici che si presentano di fronte ai leader G7 nel summit annuale che inizia domani a Hiroshima, c’è certamente quello dei semiconduttori, della catena di forniture di chip cruciali per l’industria, compresa l’industria della difesa. Questi approvvigionamenti hanno mostrato colli di bottiglia preoccupanti durante la pandemia Covid-19 e potenze come gli Stati uniti si sono mosse in maniera aggressiva per riportare in patria una produzione che negli anni è stata abbandonata e delegata a realtà come Taiwan.
Uno degli annunci è quello di una partnership tra il Regno unito e il Giappone per la produzione di semiconduttori. Il primo ministro Rishi Sunak è arrivato oggi in Giappone. E, sempre oggi, il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha incoraggiato maggiori investimenti nell’industria giapponese dei chip incontrando i dirigenti di sette importanti società di semiconduttori della Corea del Sud, Taiwan, Stati Uniti ed Europa.
La Gran Bretagna non è uno dei grandi produttori di chip, ma ospita alcune delle proincipali società globali di progettazione di chip ARM e Imagination Technologies. Ospita anche aziende che sviluppano semiconduttori composti, o chip realizzati con materiali diversi dal silicio, che servono per consumare meno energia.
La Gran Bretagna intende ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di semiconduttori da paesi come Taiwan, che sono al centro di un’endemica instabilità geopolitica. La sicurezza – che è il tema centrale di questo G7 – passa anche attraverso le forniture di semiconduttori e la necessità di mantenere il gap tecnologico tra il raggruppamento incentrato sugli Usa e la Cina.
Nei decenni, Pechino è riuscita ad attrarre grandi investimenti, anche nel settore dei semiconduttori. Studi recenti segnalano come in molti settori la Cina è oggi il principale vettore d’innovazione e il progetto di Pechino di diventare entro la metà del secolo la più grande potenza tecnologia del mondo non sembra essere campato in aria. A Washington e nelle capitali europee, oltre che in Giappone, si ritiene che il mantenimento dell’attuale ordine internazionale passi anche attraverso il vantaggio tecnologico su Pechino.
Uno dei temi più controversi, in questo senso, è lo sviluppo e le incognite dell’Intelligenza artificiale, un settore in frenetico sviluppo che apre prospettive al momento del tutto non pronosticabili.
Gli Stati uniti, rispetto ai paesi europei, sono avanti nella strategia di ritorno alla produzione dei semiconduttori. Col CHIPS Act e con una serie di incentivi e restrizioni, Washington ha di fatto costretto giganti di paesi amici – la TSMC di Taiwan e la Samsung Electronics della Corea del Sud, in particolare – ad investire fortemente in centri di produzione di chip avanzati in America.
Anche il Giappone si sta muovendo. La Samsung Electronics sta costruendo un grande centro di viluppo a Yokohama, favorita anche dalla riapertura del dialogo tra Tokyo e Seoul, che è stato per lungo tempo congelato. Ma anche la collaborazione con giganti americani è fase di sviluppo. La Micron Technology – secondo quanto ha scritto il Nikkei – ha in programma un investimento di 3,6 miliardi di dollari in Giappone e sono in corso colloqui tra Kioxia e Western Digital per la produzione di memorie flash.
Inoltre la taiwanese TSMC – il più grande fornitore di chip a contratto del mondo – investirà miliardi di dollari nella città meridionale di Kumamoto per produrre chip logici.