Roma, 8 mag. (askanews) – Ancora una volta le opposizioni si presentano divise di fronte al governo. Al tavolo delle riforme convocato da Giorgia Meloni Pd, M5s e centristi arrivano in ordine sparso, ognuno avendo in testa un’idea diversa su come affrontare la sfida della presidente del Consiglio. Persino 5 stelle e democratici, che pure nel merito della questione hanno idee abbastanza simili, di fatto si muovono separatamente, secondo quella logica di competizione a tutto campo che ormai contraddistingue i rapporti tra i due partiti e che con la vittoria di Elly Schlein alle primarie si è persino accentuata.
Per non parlare poi di Azione-Iv, con Matteo Renzi che apre all’elezione diretta del premier con la formula del “sindaco d’Italia” e con Carlo Calenda che in maniera più generica parla di “premierato” e chiede di salvaguardare il ruolo del capo dello Stato. Sullo sfondo si profila la sfida del referendum confermativo, minacciato da Antonio Tajani ma in realtà sempre più centrale anche nei ragionamenti sia dentro M5s che nel Pd, perché in molti cominciano a pensare che possa essere l’occasione per un remake del film andato in scena nel 2016 con Renzi.
Elly Schlein si muove con prudenza, sa che nel partito le sensibilità su questo tema sono diverse e preferisce rilanciare la palla nel campo della Meloni. La segretaria, peraltro, capisce che il Pd non può attestarsi su una linea conservatrice e quindi ripete che andrà ad ascoltare quello che le dirà la premier. Certo, sia in segreteria che con i parlamentari Pd delle commissioni Affari costituzionali la leader democratica ha espresso tutti i suoi dubbi: “E’ un passaggio stretto, dobbiamo capire se Meloni vuole davvero dialogare o se sta solo cercando di distogliere l’attenzione dai temi su cui è in difficoltà”. Ma, appunto, il Pd non può permettersi di dire semplicemente no: dunque, chiarito che non c’è spazio per l’elezione diretta del premier o del presidente della Repubblica, i democratici domani si diranno disponibili a forme di razionalizzazione del sistema parlamentare sul modello tedesco, vale a dire cancellierato, sfiducia costruttiva e via dicendo, aspettando di sentire come Meloni porrà la questione.
Dai 5 stelle arrivano valutazioni simili, Stefano Patuanelli commenta le parole di Tajani e spiega: “Non mi pare un bel modo per aprire il confronto. Se pensano di procedere facendo anche sulle riforme le forzature che stanno facendo nei loro primi mesi di governo, che vadano pure avanti. Si schianteranno, nel referendum confermativo: è già successo, in questi anni”. Anche lui parla di “disponibilità” a valutare correttivi “puntuali” al sistema parlamentare come “maggiori poteri al presidente del Consiglio, anche ad esempio di nomina e revoca di ministri, sfiducia costruttiva” e come il Pd il presidente dei senatori M5s dice: “Non ci saremo se si pensa di imporre l’elezione diretta del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio e in generale se si pensa di stravolgere la Costituzione”.
Quando però gli si chiede se ci sarà un fronte comune con il Pd, la risposta è eloquente: “Il Pd negli anni ha cambiato spesso approccio sul tema delle riforme ad esempio ricordiamo l’esito dell’iniziativa di Renzi. Non so cosa faranno, credo ci sia un confronto al loro interno. Il nostro approccio è scritto nei nostri programmi”.
Il fatto, appunto, è che sia tra i democratici che in casa M5s si rafforza sempre più la convinzione che la partita si giocherà al referendum confermativo, proprio come avvenne con la riforma di Renzi. Tra i democratici c’è qualche cautela a parlarne esplicitamente, “vediamo se il governo intende fare sul serio o se vogliono solo un argomento di propaganda da usare per nascondere i loro guai…”. Ma, soprattutto se ci sarà il voto di Italia viva sull’elezione diretta del premier, lo scenario del referendum confermativo diventa più che mai concreto, come dice appunto Patuanelli ma come spiega anche più di un parlamentare Pd.
Ed è qui che nasce la competizione tra democratici e M5s. La campagna contro “lo stravolgimento della Costituzione” è un’occasione d’oro, è già pronta la mobilitazione di Cgil, Anpi e le associazioni che già si schierarono contro la riforma di Renzi: un bacino elettorale al quale punta Giuseppe Conte, ma anche il Pd di Schlein. Come dice un parlamentare democratico: “I sondaggi dicono che noi stiamo ottenendo risultati sul terreno dell’opposizione netta al governo, Schlein sta riportando il Pd nelle piazze dalle quali era stato cacciato. Perché dovremmo buttare via tutto questo per trattare con il governo? Se si va al referendum la polarizzazione è nelle cose, Schlein si deve accreditare come unica vera leader dell’opposizione”.