Roma, 4 mag. (askanews) – Addio lo scudetto del riscatto sociale, di una Napoli oleografica che usciva dal terremoto del 1980 e si aggrappava al campione dei campioni, Diego Armando Maradona, per celebrare il suo trionfo più bello. Trentatré anni dopo quello del Napoli, quello di oggi è lo scudetto della programmazione, dei conti in ordine, di una società sana che guarda al bilancio prima che alla finanza alle scommesse sui giocatori emergenti prima che a quelle sui giocatori affermati a caccia di stipendi importanti. E’ il Napoli di Aurelio De Laurentiis che Il 6 settembre 2004 diventa presidente del “Napoli Soccer”, subentrato al Napoli dopo il fallimento di quest’ultima e la conseguente retrocessione in Serie C1. In realtà ci aveva provato anche qualche anno prima ma la sua offerta fu rifiutata. Si registrò persino l’intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che raccomandò: “Si faccia tutto per aiutare il Napoli, nel rispetto delle regole”. Il colpo di scena definitivo arrivò ad opera del produttore cinematografico che il 31 agosto arrivò a Napoli da Capri in motoscafo e offrì 31 milioni di euro per il nuovo Napoli in C1. La curatela fallimentare scelse il suo progetto perché ritenuto il più solido rispetto agli altri presentati. Bilanci in ordine e tenere lontano la squadra da Napoli con tutto quello che significa una città tanto passionale quanto piena di rischi per chi arriva da fuori e non riesce a comprenderne appieno potenzialità e pericoli. Questo il suo mantra. Non ha mai ceduto alle “richieste” della tifoseria organizzata recidendo tutti i legami precedenti al punto che nel 2006 durante un Napoli-Frosinone la partita fu interrotta più volte per un lancio di petardi. Alla fine le indagini giudiziarie stabilirono che si trattò di una vera e propria estorsione ai danni del presidente del Napoli. Rapporto mai facile quello con la città di Napoli. Da un lato chi lo acclama come imprenditore, dall’altro chi lo contesta perché recide i rapporti con la storia della squadra e della città e addirittura lo contesta in questa voglia di guardare più alla Champions che al tricolore (“non vuole vincere”). Nel primo anno di Serie A, il Napoli di De Laurentiis con Marino Direttore generale sin dai tempi di una squadra che si allenava senza palloni a Paestum, raggiunge l’ottavo posto in classifica. Questo piazzamento consente alla squadra partenopea di partecipare alla Coppa Intertoto, competizione europea che vede il successo degli azzurri contro i greci del Pani?nios e gli albanesi del Vllaznia ottenendo così l’accesso alla Coppa UEFA dopo quattordici anni dall’ultima apparizione nelle coppe europee. Nel 2011 riporta il Napoli in Champions League a distanza di 21 anni dai tempi di Diego Armando Maradona. “Io sono uno che ama le relazioni durature”. Ed in 19 anni di presidenza pochissimi allenatori, nove: Ventura il primo allenatore, Reja la rinascita, Donadoni, Mazzarri che torna a vincere un trofeo dopo 22 anni, Benitez l’allenatore dei trofei e dei fuoriclasse che ha dato un respiro internazionale alla squadra, Ancelotti, Gattuso, Sarri e lo scudetto sfiorato, Spalletti. Con ognuno un progetto ed un salto di qualità. Proprio con il toscano arrivano la consacrazione di Osimhen e le scommesse di Kim e Kvaratskhelia. Si chiude il cerchio. Il Napoli è una orchestra senza prime donne, senza campioni. L’ideale per il Maestro Spalletti e la produzione De Laurentiis. Il presidente che ha saputo vincere lo scudetto della programmazione dopo 33 anni da quello di Maradona.