Roma, 27 apr. (askanews) – Attraverso il disegno di legge di Roberto Calderoli sull’autonomia regionale differenziata “si determinerebbe un divario ancora maggiore fra le regioni del Sud e quelle del Nord”. Così la senatrice del M5S Vincenza Aloisio sintetizza le ragioni di una conferenza stampa al Senato nella quale hanno trovato largo spazio le argomentazioni di esperti della materia e giuristi impegnati nella battaglia contro il progetto propugnato dal ministro leghista degli Affari regionali, per fermare il quale è in campo anche una raccolta di firme lanciata dal Coordinamento per la democrazia costituzionale a favore di un disegno di legge di iniziativa popolare che rovesci gli esiti della discussa riforma del Titolo V della Costituzione, che risale al 2001 e che di fatto è alla base del progetto di Calderoli.
Marco Esposito, giornalista del Mattino e autore di diversi volumi sul federalismo fiscale e sul divario Nord-Sud, ha evidenziato un punto cruciale del dibattito in corso, a suo giudizio: “Tutto verte su questo punto fondamentale: di chi sono i soldi delle tasse. Quando il parlamento italiano decide un’imposta lo fa per tutti gli italiani, per tutti i rappresentati. Nessuno ha il diritto di dire che hanno pagato le tasse gli uomini più delle donne, perché mediamente guadagnano di più o gli abitanti del centro più di quelli che vivono in periferia…”. L’impostazione delle intese che il governo Gentiloni in scadenza sottoscrisse con Lombardia, Veneto e Emilia Romagna quattro giorni prima delle elezioni, ha spiegato, “dice che le risorse saranno assegnate in base a due parametri: la popolazione, e ci mancherebbe altro, e il gettito fiscale del territorio sulle imposte nazionali. Cioè il parlamento nazionale decide l’imposta ma il fabbisogno è ridefinito in base alle tasse che i cittadini hanno pagato. Ma questo riscrive il patto costituzionale che dice che è compito della Repubblica ‘rimuovere gli ostacoli’… entreremmo in un territorio in cui il modello è agevolare chi è già agevolato”. Secondo Esposito “a quel punto l’unica soluzione per un meridionale sarà spostarsi, cambiare regione”.
Secondo Adriano Giannola, presidente di Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, con il ddl Calderoli “lo Stato può trasferire alle Regioni, attraverso le intese, le competenze su strade, autostrade, porti, protezione civile, energia, commercio con l’estero, cioè la polpa dell’economia sociale e materiale”. Per l’economista “Calderoli non può dirlo ma il suo disegno è quello che conosciamo benissimo dagli anni 80: appena avvenisse questa intesa che può avvenire in un mese, perché già le preintese ci sono”, verrebbe di fatto “costituzionalizzata la spesa storica che invece va superata” e con le intese “che sono irreversibili e immodificabili” le regioni del Nord potrebbero mettere in comune la gestione delle infrastrutture strategiche. “Significa costituire il Grande Nord, la loro illusione è di uscire dalla crisi avendo una spesa storica che gli dà tutto”. A giudizio di Giannola “Gentiloni ha responsabilità grossissime per aver aperto la breccia”.
Massimo Villone, costituzionalista ed ex parlamentare, punta il dito sul cosiddetto modello spagnolo fondato sulle regioni autonome, del quale si discute molto in questo periodo: “Ha favorito il tentativo di secessione della Catalogna, ce lo siamo dimenticati?”
Tra i relatori anche il presidente dell’Unione industriali di Napoli, Costanzo Jannotti Pecci, che ha parlato di “schizofrenia” del ddl Calderoli perché “in contrasto con i risultati che si propone di ottenere il Pnrr, ovvero superare le diseguaglianze presenti all’interno del Paese. Non siamo mai riusciti – ha sottolineato – a ottenere risposta alla domanda: quali sono gli elementi che dimostrano che questa riforma accrescerebbe la competitività del Paese? Avremo un sistema economico, al di là del Rubicone o leggermente al di sotto del Rubicone, dove i livelli di efficienza cresceranno in funzione delle maggiori risorse. Faremo il possibile – ha concluso – per far sì che questo ddl venga bloccato o quanto meno ricondotto a logiche di maggiore ragionevolezza istituzionale”.