Roma, 15 apr. (askanews) – Il caso della avvocatessa che non ottiene il rinvio dell’udienza a fronte della malattia del figlio fa ritenere alla Camera penale di Roma che si sia di fronte alla “ennesima manifestazione di un’idea proprietaria del processo da parte di alcuni magistrati che immaginano di poterlo amministrare a prescindere dal ruolo, dalle funzioni e dalle esigenze delle parti, specie della parte debole di tutta questa storia, l’imputato, al quale solo, come in passato abbiamo avuto modo di rimarcare, il processo per davvero appartiene”.
Il direttivo dell’organismo di rappresentanza ricorda: “Un’avvocata del foro di Roma deposita, qualche giorno prima dell’udienza davanti al tribunale collegiale, una istanza di rinvio per legittimo impedimento. Il collegio, ritenuto non legittimo l’impedimento, rigetta l’istanza. Ordinaria amministrazione, sembrerebbe. Se non fosse che l’istanza è ben documentata e adduce uno di quegli impedimenti che per definirli non legittimi serve una buona dose di cinismo”.
Poi si aggiunge: “Con l’istanza la collega comunica al giudice di dover assistere il figlio di due anni che subirà un’anestesia totale per via di un’indagine Tac a cui dovrà sottoporsi, perché a due anni non sempre ti si riesce a convincere che devi stare immobile in un tubo. Roba seria, insomma, che se uno ha un figlio trattiene il fiato e si commuove pure”.
E “invece, a quanto pare, il collegio, guidato con mano salda dalla sua presidente, non ci pensa proprio a rinviare l’udienza, non solo perché il teste, dopo assenze tanto ripetute da valergli un’ammenda, è arrivato, ma pure, udite udite, perché inegni caso, alla visita, il bambino poteva accompagnarcelo il padre”.
Insomma “messa cosi” si converrà che “non è affatto ordinaria amministrazione. È invece, a noi sembra, l’ennesima manifestazione di un’idea proprietaria del processo da parte di alcuni magistrati che immaginano di poterlo amministrare a prescindere dal ruolo, dalle funzioni e dalle esigenze delle parti, specie della parte debole di tutta questa storia, l’imputato, al quale solo, come in passato abbiamo avuto modo di rimarcare, il processo per davvero appartiene”.
La Camera penale, presieduta da Gaetano Scalise, sottolinea poi che “questa idea non è tollerabile, né la sopporteremo oltre. Ma siccome prima di agire occorre acquisire tutti i possibili riscontri, anche documentali, e verificare se per avventura la narrazione – pure di prima mano – non sia stata in qualche modo inconsapevolmente imprecisa, allora noi della Camera Penale stiamo verificando”.
“E finita la verifica, se le cose non stessero come si dice che stiano, faremo ammenda e rifletteremo sul perché una simile notizia sia passata in maniera distorta. Se invece i fatti fossero confermati, non ci resterà che trarne le debite conclusioni e denunciarli in ogni sede utile, affinché siano assunti gli opportuni provvedimenti, ribadendo con la miglior forza che abbiamo che il difensore e la difesa non si toccano e che il processo è una cosa seria; quasi quanto l’apprensione di una madre per la salute di un figlio”.