Roma, 3 apr. (askanews) – Di colpo l’economia globale si ritrova a che fare con oltre un milione e mezzo di barili di petrolio in meno al giorno. E dopo l’impennata dei prezzi che questo sviluppo a sorpresa ha innescato fin dalle prime contrattazioni mattutine, ora gli analisti iniziano a interrogarsi sul dove potrebbero arrivare le quotazioni, ipotizzando anche un ritorno del barile a quota 100 dollari.
Nel corso del fine settimana 9 paesi di primo piano del cartello allargato degli esportatori di oro nero, chiamato Opec+, a cominciare dall’Arabia Saudita, primo produttore globale, hanno annunciato a stretto giro tra loro riduzioni dell’offerta che complessivamente dovrebbero raggiungere 1,6 milioni di barili al giorno, includendo quella recentemente annunciata dalla Russia (che partecipa all’Opec allargata).
Nelle scorse settimane Mosca aveva deciso di ridurre la sua offerta di 0,5 milioni di barili in risposta alle sanzioni di Usa e Ue per la guerra in Ucraina. L’Arabia Saudita, di fatto leader dell’Opec, ha annunciato una riduzione analoga a quella russa. A questo si sono aggiunti altri sette componenti del cartello tra cui gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait.
Il tutto non potrà che peggiorare le relazioni già tese tra Stati Uniti e grandi esportatori di petrolio, specialmente quelli facente parte del blocco dei giganti emergenti come Riad, che erano già state deteriorate dagli attriti attorno alle sanzioni contro la Russia, con cui i sauditi cercano di mantenere buoni rapporti sia nell’ambito del blocco dei “Brics”, i giganti economici emergenti, sia per le strategie di controllo dei prezzi dei combustibili fossili.
L’amministrazione Biden da molti mesi era in pressing sull’Opec e su Riad in particolare per ottenere dinamiche in senso opposto, ossia aumenti dell’offerta che contribuissero a calmierare i prezzi dell’energia.
Per tutta risposta riceve invece una manovra energica nella direzione contraria. E questo mentre si avvicina rapidamente la scadenza del mandato presidenziale e quindi le elezioni del 2024, in cui i prezzi dei carburanti possono avere effetti rilevanti sull’opinione pubblica Usa.
La mossa di questa consistente pattuglia dell’Opec+ complica contestualmente il lavoro per le banche centrali di mezzo mondo, tra cui la stessa Federal Reserve americana e la Bce, che sembravano sul punto di bloccare le loro strette sui tassi di interesse volte a controllare l’inflazione. Ad oggi si stava infatti profilando un calmieramento del carovita favorito dai recenti cali dei prezzi petroliferi, ma questo scenario rischia di mutare improvvisamente.
Le recenti tensioni su Borse e banche, innescate dalle crisi della Silicon Valley Bank negli Usa e del Credit Suisse in Europa erano inoltre considerati come equivalenti a ulteriori inasprimenti del quadro finanziario. E questo avrebbe potuto quindi favorire ulteriormente lo stop alle manovre delle banche centrali.
Ora i balzi di oltre l’8% segnati oggi dalle quotazioni del petrolio e la prospettiva che continuino a galoppare spingono ovviamente nella direzione opposta. Nel pomeriggio il barile di Brent smorza solo leggermente i rialzi, segnando un più 5,31% a 84,13 dollari. In preapertura il West Texas Intermedie guadagna un 5,51% a 79,84 dollari.
In un rapporto di analisi pubblicato ieri sera, la banca d’affari Goldman Sachs rileva come l’Opec+ disponga oggi di un potere di influenzare i prezzi “molto rilevante rispetto al passato, data la sua elevata quota sul mercato globale e l’inelasticità delle forniture non-Opec e della domanda”.
In questo quadro, il cartello degli esportatori con la sua mossa a sorpresa “mostra l’intenzione di attuare strategie preventive sul mercato, come accaduto nell’ottobre dello scorso anno”. Ma a differenza di quanto avveniva alcuni mesi fa, rileva ancora Goldman, in questa fase la domanda globale di petrolio non è indebolita, invece è sostenuta sulla ripresa della Cina relativamente solida.
La banca d’affari ha quindi rivisto il rialzo le sue previsioni sui prezzi del greggio e per il Brent ipotizza il raggiungimento di 95 dollari al barile per il dicembre di quest’anno e di 100 dollari per il dicembre del 2024.
Era prevista una riunione del comitato ministeriale congiunto di monitoraggio dell’Opec+, solitamente deputato a fornire raccomandazioni ai delegati sulle strategie di offerta, che tuttavia a questo punto potrebbe risultare ampiamente superata.
La mossa di questi Paesi dell’Opec+ si inserisce poi in un contesto ulteriore di tensione con gli Usa a causa di una particolare normativa all’esame del Congresso, battezzata “NOpec” – o No Oil Production and Export Cartels – che potrebbe spianare la strada a procedure Antitrust contro i paesi dell’Organizzaizone, che ha sede a Vienna.
Altri attriti e non solo contro gli Usa, ma anche contro l’Ue vedono gli stati Opec+ fortemente critici sia in generale per le politiche green e di transizione energetica, che vogliono ridurre o azzerare l’uso di combustibili fossi, e che secondo i produttori stanno gravemente compromettendo gli investimenti in questo settore, e quindi le capacità di produzione future; sia opposti alle recenti spinte per imporre tassazioni supplementari sui cosiddetti extra utili a carico delle compagnie energetiche.
Ma secondo ricostruzioni di stampa, quello che avrebbe finito per far decidere questi nove paesi a muoversi sarebbe stata la prospettiva di volatilità e possibili indebolimenti delle quotazioni conseguenti alle tensioni di Borsa seguiti alle crisi Svb e Credit Suisse.