Milano, 3 apr. (askanews) – Questo bip che oggi suona così familiare, 50 anni fa cambiava radicalmente il nostro modo di fare la spesa grazie al codice a barre, un’invenzione che la Bbc ha inserito tra le 50 cose che hanno fatto l’economia moderna.
“Siamo in America, siamo nel 1973 e le aziende del mondo del largo consumo hanno bisogno di risolvere un problema – ha raccontato Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy – identificare in modo univoco i prodotti in maniera automatica. E c’è una data significativa, il 3 aprile 1973, perché è la firma delle imprese del largo consumo che decidono cosa fare, quale standard utilizzare”.
Lo standard scelto allora fu lo Upc conosciuto in Europa come codice a barre Ean, poi unificato nell’attuale Gtin, lo standard globale di identificazione dei prodotti di GS1. Da quell’accordo passerà solo un anno perché il primo prodotto, un pacchetto di chewing-gum da 61 centesimi, venisse scansionato alla cassa di un supermercato in Ohio: “Un fattore facilitante – ha spiegato Cuppini – è stato l’intervento del governo americano che ha reso obbligatorio mettere in etichetta i valori nutrizionali dei prodotti. A quel punto le aziende hanno dovuto mettere mano alle etichette e quindi è stata una sorta di scivolo che ha facilitato la stampa del codice a barre sulle etichette che prima erano qualcosa di intonso”.
Da allora, questa presenza silenziosa, almeno finché non arriviamo in cassa, sulle confezioni della maggior parte dei prodotti che acquistiamo quotidianamente, si è diffusa globalmente su oltre un miliardo di prodotti generando miliardi di beep ogni giorno. Ma quanti sono solo nei supermercati, ipermercati e punti vendita a libero servizio italiani i prodotti col codice a barre GS1? “La stima è di 350mila prodotti che passano 30.2 miliardi di volte alle casse – ha detto – Un altro numero per capire di che dimensione stiamo parlando questi prodotti compongono 2,7 miliardi di scontrini che vengono battuti dalle casse dei supermercati e ipermercati italiani”.
Grazie a questo standard fatto di barre e numeri, 50 anni fa si potè dire addio all’etichettatura manuale dei prezzi sui singoli prodotti ma soprattutto si riuscì a creare un linguaggio globale che li identificava in maniera univoca. E se questo è il passato e il presente del codice a barre nel suo futuro c’è un’evoluzione che si annuncia nuovamente rivoluzionaria:
“Crediamo che nei prossimi 50 anni il protagonista sarà un nuovo standard che si chiama digital link. Il digital link ha la forma di un Qr code quindi col telefonino lo si interroga e si aprono mondi di informazione decisamente più grandi rispetto al passato – ha spiegato – noi parliamo di informazione aumentata perché il consumatore potrà accedere a pagine di informazioni diverse”. Dalla provenienza della materia prima alle indicazioni sulla riciclabilità del packaging, fino a offerte, valutazioni di altri utenti, contenuti social o avvisi di richiamo, il nuovo standard abiliterà numerose applicazioni, anche in chiave di sostenibilità: “In sostanza aiuterà il consumatore a fare scelte di acquisto e consumo più consapevoli – ha concluso Cuppini – questo spinto dal legislatore che è molto interessato a una crescita delle informazioni verso i consumatori e dalle aziende stesse che hanno uno strumento di comunicazione coi clienti ancora più potente”.