Roma, 16 mar. (askanews) – Alcune testate giapponesi l’hanno hià definita “la diplomazia dello omuraisu”: la tipica omelette giapponese arrotolata e ripiena di riso è stata infatti il piatto principe della cena oggi a Tokyo tra il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, dopo l’atteso vertice nel quale i due hanno concordato di portare alla normalizzazione i rapporti tra i loro paesi, principali alleati in Asia orientale degli Stati uniti.
Il presidente sudcoreano aveva confessato di non aver mai dimenticato questo piatto mangiato tanto tempo fa a Tokyo nel ristorante Rengatei, dove si dice sia stata inventata la ricetta. Dopo il summit, il premier nipponico ha portato il capo dello stato sudcoreano a riassaporare ancora una volta in quel locale l'”omuraisu”.
Il vertice, accuratamente preparato, è andato come previsto. Kishida e Yoon – arrivato oggi nella capitale nipponica come primo capo di stato sudcoreano a fare una visita bilaterale in Giappone in 12 anni – hanno concordato di mantenere una “stretta comunicazione”, perché il rafforzamento delle relazioni bilaterali è “questione di massima urgenza”, ha chiarito Kishida nella conferenza stampa congiunta dopo la parte plenaria e quella a due del vertice. Il Giappone – ha continuato il capo dell’esecutivo di Tokyo – riprenderà presto i colloqui di sicurezza con la Corea del Sud anche per affrontare le “provocazioni” della Corea del Nord e la crescente asserività della Cina.
Yoon, dal canto suo, ha annunciato di aver “dichiarato la completa normalizzazione” dell’Accordo di sicurezza generale delle informazioni militari (GSOMIA), un documento cruciale di condivisione delle intelligence che Seoul aveva minacciato di sospendere causando anche una preoccupata presa di posizione degli Stati uniti. “Io credo – ha detto ancora il presidente sudcoreano – che i nostri due paesi debbano poter condividere informazioni sui lanci di missili nucleari nordcoreani e sulle loro traiettorie per rispondere”.
Una dichiarazione, questa, che va incontro a un’esigenza messa in luce anche dal fatto che, proprio oggi, il summit è stato “salutato” dalla Corea del Nord con il lancio di un missile intercontinentale balistico (ICBM), che è caduto poco lontano dalla Zona economica esclusiva del Giappone.
I passaggi che hanno portato al disgelo tra Tokyo e Seoul sono stati rapidi negli ultimi mesi, nei quali si è manifestata una forte discontinuità a Seoul tra la politica della precedente presidenza Moon Jae-in, particolarmente caustica verso Tokyo, e quella della presidenza Yoon. Il passaggio-chiave è stato probabilmente l’annuncio la settimana scorsa da parte di Seoul della costituzione di una fondazione che raccoglierà donazioni volontarie tra le imprese sudcoreane per risarcire una dozzina di anziane vittime del lavoro forzato durante il periodo coloniale giapponese (1910-1945). S’è trattato di una decisione sofferta che, nel paese, si sta scontrando con una vasta opposizione e con le reazioni sdegnate delle vittime superstiti dei lavori forzati stessi.
Il passo fatto dall’amministrazione Yoon serve a togliere uno dei principali macigni sulla strada del disgelo con Tokyo. Infatti la fondazione andrebbe a sostituire nel risarcimento due compagnie giapponesi – Mitsubishi Heavy Industries e Nippon Steel – condannate nel 2018 dalla Corte suprema di Seoul a pagare somme importanti, pena il congelamento dei loro asset. Tokyo considera chiusa la vicenda del lavoro forzato, come anche quella delle cosiddette “donne di conforto”, cioè delle donne sfruttate nei bordelli militari dell’Esercito imperiale giapponese fino alla conclusione della seconda guerra mondiale, perché regolata dall’accordo di normalizzazione delle relazioni del 1965, che ha anche fissato le riparazioni di guerra.
Sempre oggi, per favorire il clima del vertice, il Giappone ha annunciato lo sblocco delle esportazioni di alcune materie prime necessarie all’industria sudcoreana dei semiconduttori e alla produzione di display e altri componenti elettronici. Questo embargo era stato imposto nel 2019 ed era stato visto come una rappresaglia nipponica per la sentenza della Corte suprema sudcoreana. Seoul aveva reagito al blocco giapponese presentando un ricorso all’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc o WTO) per discriminazione. Oggi ha segnalato di aver ritirato anche questo ricorso.
Se, però, il riso dell'”omuraisu” ce l’hanno messo i due leader asiatici, l’omelette è stata cucinata altrove. Washington ha guardato con molta attenzione a quanto sarebbe accaduto oggi a Tokyo. Non a caso ogni passaggio del rapido disgelo nippo-sudcoreano è stato accompagnato da pacche sulle spalle e benedizioni americane. Il presidente Usa ha recentemente definito questo passaggio “un nuovo, rivoluzionario capitolo di cooperazione e partnership tra due dei più stretti alleati degli Stati Uniti” e un “passo fondamentale per forgiare un futuro per il popolo coreano e giapponese che sia più sicuro, più protetto e più prospero”.
Due giorni fa l’assistente segretario di Stato Usa per l’Asia Daniel Kritenbrink ha spiegato che Washington considera l’Indo-Pacifico “centrale” per la strategia di sicurezza americana. Il riallineamneto dei due principali alleati nell’Asia nordorientale, in questo senso, rappresenta un atout per rendere sostenibile la postura militare americana nella regione di fronte a quella che a Washington percepisce come la principale concorrente e minaccia globale: la Cina.
(di Antonio Moscatello)