Roma, 14 mar. (askanews) – Il problema dei microrganismi multiresistenti agli antibiotici rappresenta un fenomeno in crescita in tutta Europa, con l’Italia che è tra i Paesi con le peggiori performance. Il tema è al centro anche del 9° Congresso AMIT – Argomenti di Malattie Infettive e Tropicali, da cui parte un allarme: i microbi multiresistenti non sono più un fenomeno legato prevalentemente agli ospedali, ma sono ormai diffusi anche sul territorio. Il Congresso AMIT è presieduto da Marco Tinelli, Ospedale San Luca, Istituto Auxologico Italiano IRCCS e infettivologo della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, e da Antonella Castagna, primario dell’Unità di Malattie Infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Direttore della scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Il Congresso si tiene giovedì 16 e venerdì 17 marzo a Milano presso Palazzo Castiglioni, Corso Venezia 47; è patrocinato da ISS, e da molte società scientifiche italiane e internazionali tra cui SIMIT, ESCMID, AMCLI, GISA, SIV, SIGOT.
I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, delle Nazioni Unite e del G20 stimano nel 2050 una mortalità per germi multiresistenti agli antibiotici analoga alle patologie oncologiche, con 10 milioni di morti a livello globale. Secondo un report dell’Ente europeo per il Controllo della Malattie Infettive (ECDC) pubblicato a fine 2022, si stima che in Italia (seconda solo alla Grecia in un elenco di 29 paesi) per 100mila abitanti vi siano almeno 19 decessi all’anno attribuibili a infezioni da microrganismi multiresistenti, rispetto ai 2 dell’Olanda, ultima dell’elenco. A febbraio 2023, il Ministero della Salute ha approvato il nuovo “Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico Resistenza 2022-2025”: oltre al rilievo del concetto di “One Health” per considerare le infezioni a livello ambientale, animale e umano, anch’esso pone attenzione alla fase di “transizione” dei pazienti tra ospedale e territorio, che sta diventando foriera di nuove infezioni da microrganismi multi-resistenti.
Le colonizzazioni batteriche sono dovute alla persistenza di microrganismi patogeni multiresistenti in vari organi e apparati: non sempre determinano infezioni acute, ma sono ugualmente pericolose se si diffondono in vari organi o nel sangue. Le infezioni relative alla transizione ospedale-territorio sono state oggetto di una recente pubblicazione di autori italiani su una importante rivista internazionale. “Questo studio, fatto a Milano e a Roma. ha contribuito a dimostrare che pazienti colonizzati da batteri multiresistenti in ospedale e seguiti per 12 mesi dal momento della dimissione, una volta inviati ad altri contesti come RSA, strutture per la riabilitazione o a domicilio, nel 60% dei casi le colonizzazioni scompaiono spontaneamente mentre nel rimanente 40% possono perdurare anche alcuni mesi – sottolinea Tinelli – questo fenomeno di decolonizzione spontanea può essere dovuto al cambiamento delle condizioni ambientali che favoriscono il ripristino della flora batterica normale, prima sostituita da batteri ad alta resistenza. Si ricostituisce quello che viene chiamato “microbiota” cioè i microrganismi fondamentali per la nostra vita. Nel nostro corpo tali batteri ammontano a circa 1Kg e 200 grammi. Inoltre, è ormai noto che anche a livello prettamente territoriale, se le persone non hanno avuto negli ultimi 6-12 mesi alcun contatto con strutture sanitarie, si evidenziano comunque colonizzazioni da batteri multiresistenti che vanno dal 2,6% al 29% e possono perdurare anche per 8 mesi con il rischio di contagiare anche altre persone”.
Per far fronte all’emergenza dell’antibiotico-resistenza, vi sono all’orizzonte alcune importanti soluzioni terapeutiche oltre al fondamentale trattamento con antibiotici. “Anzitutto, possiamo contare su altri nuovi antibiotici – prosegue Marco Tinelli – nel 2022, l’FDA americano ha approvato nuove molecole per le infezioni complicate delle vie urinarie, addominali, della cute, per tessuti molli e per particolari ceppi di micobatteri della tubercolosi resistenti ai comuni trattamenti: si tratta di veri e propri strumenti “salvavita”, che dovranno però essere gestiti con attenzione onde evitare l’insorgenza di nuove resistenze. In secondo luogo, tra i promettenti trattamenti già sperimentati con successo nel modello animale vi sono le “microcine”, peptidi a basso peso molecolare prodotte dai ribosomi, che hanno un potere battericida, soprattutto a livello intestinale verso batteri multiresistenti come Klebsiella pneumoniae ed Escherichia coli che nei pazienti immunocompromessi o sottoposti a trattamenti antibiotici sostituiscono il microbiota e da lì si possono diffondere in vari organi o nel sangue, determinando anche gravi episodi di sepsi che possono essere letali. Le microcine possono sia uccidere questi batteri multiresistenti che ripristinare una normale flora intestinale. La terapia con la microcina “McC” sembra la più promettente e potrebbe cominciare ad essere testata prossimamente nell’uomo. Altro trattamento, ultimamente rivalutato, è rappresentato dalla cosiddetta terapia “fagica”, nota da tempo ma recentemente riportata all’attenzione dei clinici da nuovi e più approfonditi studi scientifici : i batteriofagi sono particolari virus in grado di attaccare e distruggere i batteri dopo aver inserito il genoma virale al loro interno. Infine, una terapia ancora lontana dall’applicazione routinaria ma che sarà disponibile nell’armamentario terapeutico è il cosiddetto metodo “CRISPR-Cas”, che consiste nel modificare il genoma dei microrganismi intestinali rendendoli non aggressivi oppure eliminandone alcuni, attuando così una sorta di “decolonizzazione genomica” senza sostituzione della gran parte della flora batterica come avviene con la classica decolonizzazione mediante antibiotici”.