Roma, 6 mar. (askanews) – Non sarà semplicissimo per il governo sudcoreano chiudere la vicenda del lavoro forzato con il Giappone: contro l’esecutivo di Yoon Suk-yeol, a livello interno, si sono già mosse le organizzazioni civiche che sostengono le vittime e si prospettano già guai legali nel percorso che dovrebbe portare ai risarcimenti attraverso una fondazione esclusivamente sudcoreana, senza partecipazione nipponica.
Il governo di Seoul ha annunciato oggi la decisione di chiudere l’annosa partita con un gesto di buona volontà, per chiudere la vertenza con Tokyo. Il ministro degli Esteri sudcoreano Park Jin ha detto che verrà creata una fondazione governativa per risarcire 15 vittime le quali hanno vinto in tribunali sudcoreani cause contro la Mitsubishi Heavy Indusries e la Nippon Steel nel 2018, sentenze che Tokyo non ha mai riconosciuto. Il fondo verrà creato usando donazioni provenienti dal settore privato.
Inoltre, verrà ritirato il ricorso sudcoreano presso il WTO per le restrizioni all’export e il ritiro della clausola di nazione più favorita decisi da Tokyo dopo la sentenza della Corte suprema di Seoul del 2018, che dava ragione alle vittime sudcoreane.
Il presidente Yoon, secondo quanto ha riferito il suo portavoce ha chiarito che la decisione è un passo per garantire tra Giappone e Sudcorea relazioni “improntate al futuro”, non più al passato. D’altronde, l’alleato principale di entrambi i paesi – gli Stati uniti – spingono perché questi rapporti vengano riallineati in modo da compattare le alleanze a fronte di una Cina sempre più assertiva e della minaccia nucleare nordcoreana. Non a caso, una delle prime reazioni all’annuncio sudcoreano è stata quella del presidente americano Joe Biden, che ha lodato l’iniziativa di Yoon.
Non sarà però semplice per Yoon andare avanti senza pagare un caro prezzo a livello di consenso. I gruppi civici sudcoreani che sostengono le vittime del lavoro forzato giapponese in epoca coloniale (1910-1945) hanno condannato senza riserve il piano del governo. Mentre Park Jin faceva l’annuncio presso il ministero degli Esteri, gli attivisti erano davanti all’edificio nel centro di Seoul per chiedere il ritiro della proposta.
I manifestanti hanno rappresentato il malumore di una coalizione di 611 organizzazioni civiche e sindacali – tra le quali la Confederazione coreana dei sindacati (KCTU), il Consiglio coreano per la giustizia e la memoria per le questioni della schiavitù sessuale militare del Giappone e il Centro per la verità storica e la giustizia – e hanno dichiarato che non si può accettare alcuna soluzione alla controversia sul lavoro forzato, senza scuse e risarcimento diretto da parte delle società giapponesi interessate.
“Il governo di Yoon Suk-yeol ha calpestato i diritti legalmente stabiliti del popolo e ha portato avanti i negoziati filo-giapponesi per scagionare le società giapponesi”, ha detto Park Seok-un, un attivista progressista, durante la manifestazione, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Yonhap. “È deplorevole – ha continuato – che il presidente Yoon e il ministro Park si siano mossi in violazione della sentenza della Corte Suprema”.
Alcuni attivisti progressisti sono arrivati a paragonaew la proposta di lunedì all’annessione giapponese della Corea nel 1910, mentre altri l’hanno definita un’evidente regressione storica. La coalizione di gruppi civici prevede di tenere una veglia a lume di candela al Seoul Plaza nel centro di Seoul alle 19:30. condannare la controversa proposta del governo.
Un altro problema che potrebbe porsi di fronte al governo è quello legale. Il piano si basa su una clausola del Codice Civile che stabilisce che, nel caso in cui un debitore si rifiuti di pagare, un terzo che ha un interesse legale con il debitore può pagare il debito. In caso di risarcimento da parte di terzi, la responsabilità si estingue e vengono annullati eventuali procedimenti esecutivi come il sequestro o la vendita forzata.
Tuttavia, il pagamento da parte di terzi è impossibile se la parte lesa lo rifiuta. Alcune vittime e famiglie di vittime hanno già espresso la loro intenzione di non accettare un risarcimento senza scuse esplicite dal governo e dalle aziende giapponesi cinvolte, secondo i loro rappresentanti legali.
Se rifiuteeranno l’offerta, il governo potrebbe dover depositare i soldi del risarcimento presso il tribunale. Ma i querelanti avranno ancora il diritto di chiedere la dismissione forzata dei beni delle società giapponesi in Corea del Sud.
Inoltre ci sono pareri legali secondo i quali è piuttosto duvvio che la fondazione affiliata al governo avvia i requisiti per essere considerata una terza parte legittima la quale possa subentrare al debitore. Ai sensi del codice civile, il terzo deve avere un interesse legale con il debitore e le società sudcoreane, che dovrebbero effettuare donazioni volontarie, non hanno alcun rapporto legale con le società giapponesi.
Il ministero degli Esteri interpreta la norme in un’altra maniera: a suo dire, se il pagamento verrà effettuato, la fondazione subentrerà nel credito nei confronti delle società giapponesi, il che costituirebbe un interesse legale tra le due parti, senza però che poi eserciti questo diritto di riscossione.
Ma anche all’interno della Corea del Sud non si sono alzate solo voci negative. Sei organizzazioni imprenditoriali hanno lodato la mossa del governo, che a loro dire apre opportunità di business con il Giappone e sblocca una situazione che ha pesato molto nell’economia sudcoreana. E il gigante dell’acciaio POSCO si è già detta disponibile a riflettere sulla possibilità di fare una donazione al fondo.