Intervista ad Askanews: metodo e’ fondamentale, riforma seconda parte Costituzione necessaria
Roma, 17 gen. (askanews) – La riforma della Costituzione e’ una ‘necessita” e dunque e’ ‘importante’ l’iniziativa del governo sul presidenzialismo, ma per evitare che il progetto fallisca come i precedenti tentativi di ‘grande riforma’ sarebbe bene partire dalle criticita’ del sistema italiano e non dalle soluzioni, tenendo conto per esempio che il presidenzialismo vero e proprio, come quello degli Usa, non sarebbe adatto all’Italia. Francesco Clementi, professore ordinario di Diritto pubblico comparato all’universita’ ‘La Sapienza’ di Roma, spiega ad Askanews perche’, a suo giudizio, sarebbe piu’ opportuno iniziare mettendo a fuoco i problemi da risolvere: rivedere il bicameralismo, garantendo una rappresentanza anche alle regioni; rafforzare il governo, con uno schema tipo premierato o con un sistema semipresidenziale; ridefinire in maniera organica il sistema della ripartizione delle competenze tra stato e regioni, finora articolato in maniera piuttosto estemporanea.
Ma quindi e’ giusto partire dal presidenzialismo come fa il governo? ‘Ormai davvero pochi negano la necessita’ di riformare la seconda parte della Costituzione. La ripresa del dibattito sulle riforme e’ una notizia importante e utile. Fa benissimo la ministra Casellati a fare un percorso esplorativo tra le forze politiche.
Lei parte dal merito – il presidenzialismo – ma sarebbe importante partire dal metodo: quanto le forze politiche sono disposte a scommettere per produrre una decisione? Non c’e’ soluzione se prima le forze politiche non si esprimono con fiducia reciproca: la grande riforma e’ fallita perche’ e’ fallita la fiducia reciproca, hanno usato le riforme come un mezzo e non come un fine’.
Forse la fiducia reciproca manca perche’ di volta in volta si sospetta che chi prende l’iniziativa sia guidato da un interesse di parte, o dalla necessita’ di fare delle riforme un’arma di propaganda, anziche’ dalla volonta’ di migliorare le istituzioni. In questo senso il presidenzialismo sicuramente spaventa la sinistra, per esempioa’ ‘Infatti il tema e’ che il giusto percorso di ascolto deve svolgersi a partire da alcuni elementi sintetici di accordo politico, che non possono partire da una posizione gia’ predefinita. Si puo’ partire dal presidenzialismo ma non si puo’ finire con una decisione sul presidenzialismo. La parola presidenzialismo e’ un ‘passe-partout’ per ragionare assieme partendo dai problemi e non dalle soluzioni. Nel mondo ci possono essere tanti modelli, ma per l’Italia c’e’ una soluzione adatta.
Per questo dico di partire misurando la disponibilita’ delle forze politiche, anche perche’ nel 2024 abbiamo le europee, e non saranno elezioni normali, sara’ un voto molto delicato. Quanto incidera’ su un potenziale accordo politico?’.
Tra i problemi da risolvere pero’ c’e’ sicuramente quello della fragilita’ dei governi.
‘Il paese ha notevoli problemi, ne cito tre: il primo e’ la ristrutturazione del Parlamento alla luce della riduzione dei parlamentari. E’ una riforma incompiuta. Abbiamo la prova provata che questo bicameralismo non funziona piu’ nel momento in cui la legge di bilancio viene approvata con schema monocamerale (cioe’ imponendo ad una delle due Camere di approvare senza modifiche il testo votato dall’altro ramo del Parlamento, ndr). Poi, le autonomie non sono parte della rappresentanza nella seconda camera, eppure sono decisive, pensiamo solo alla gestione della sanita’. C’e’ il sistema della Conferenza Stato-Regioni, che pero’ non esiste in Costituzione e non vi e’ per i cittadini alcuno strumento di controllo su cosa accade in quella sede. Questo e’ un grandissimo difetto democratico su come le politiche pubbliche vergono articolate. In secondo luogo, abbiamo una debolezza strutturale del governo e della figura del presidente del Consiglio, rispetto agli altri partner europei. Non parlo solo rispetto al semipresidenzialismo francese, penso anche al primo ministro britannico o al presidente del governo spagnolo. Infine, c’e’ la riforma delle competenze tra stato e regioni, un percorso di autonomia differenziata che negli anni e’ stato lasciato crescere. Questi tre punti ci pongono la necessita’ di una grande riforma’.
E quale forma di governo sarebbe piu’ adatta alla situazione italiana? ‘Partendo da questi problemi, si puo’ immaginare un accordo preventivo tra le forze politiche che escluda alcune soluzioni.
La forma da escludere e’ esattamente quella presidenziale (tipo, Usa, ndr): prevede una rigida separazione dei poteri e al tempo stesso presuppone un’omogeneita’ sociale e assenza di conflitto sociale. Invece siamo in un tempo storico nel quale le societa’ sono sempre piu’ disomogenee, particolarmente complicate da gestire. E’ un sistema che prevede il conflitto tra le istituzioni, perche’ questo prevede il sistema presidenziale. C’e’ una bellissima frase di James Madison (costituente Usa ad inizio ‘800, ndr) : ‘Vogliamo costruire un sistema istituzionale nel quale ad una ambizione contrasta un’altra ambizione’. Noi non ce lo possiamo permettere. Inoltre, in Italia verrebbe ad esserci un’eccessiva semplificazione cancellando il ‘motore di riserva’ che ha tenuto in piedi il sistema: il presidente della Repubblica, che qui e’ elemento di stabilizzazione, reggitore dello stato nei momenti di crisi. Un ruolo fondamentale per un sistema in cui i grandi partiti di massa sono andati in crisi. Io dico: prima la parola presidenzialismo esce come opzione reale e concreta e prima si dimostra che le riforme si vuole farle davvero. Il presidenzialismo e’ un tema lessicale: il punto e’ rendere il cittadino arbitro della decisione’.
La premier Giorgia Meloni ha parlato di semipresidenzialismo, come base di ragionamentoa’ ‘Abbiamo due grandi opzioni. O il semipresidenzialismo o l’opzione del premierato. Il premierato puo’ essere elettivo o no, ma quello elettivo e’ stato provato solo in Israele e ha fallito perche’ troppo rigido e perche’ collegato pure con una legge elettorale proporzionale. Nel premierato il presidente del Consiglio si trasforma in presidente del governo. Questo avviene non tramite una elezione diretta ma tramite legittimazione diretta: l’elettore sa, nel momento in cui vota, che il leader del partito o della coalizione che vince e’ il candidato naturale alla premiership. E’ una ‘spinta gentile’ verso questa direzione: come accade nel trattato europeo, dove si dice che il presidente della commissione e’ nominato ‘tenuto conto dei risultati elettorali’. Non si puo’ prescindere dal risultato del voto’.
Con il maggioritario in Italia, di fatto, gia’ accadeva. Non puo’ bastare un intervento sulla legge elettorale? ‘No, non basta. Primo perche’ e’ una legge ordinaria, dunque transeunte: puo’ cambiare, e’ troppo debole come strumento giuridico. Serve certamente una legge elettorale che assicuri una maggioranza politica, ma servono anche riforme costituzionali ben precise. Sarebbe opportuno per esempio che oltre alla nomina ci fosse anche la revoca dei ministri, e la fiducia al solo presidente del governo, magari a Camere congiunte. E che si lavori intorno ai poteri di sfiducia e di scioglimento. Oggi presidente del Consiglio e’ un ‘primus inter pares’, serve una figura che abbia un ruolo decisivo e decidente. Lo statuto albertino neanche lo prevedeva il presidente del Consiglio.
Dunque, il cammino e’ stato lungo per l’emersione di questo ruolo nell’Italia unita. Ma oggi che c’e’ la Repubblica, a 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, dobbiamo europeizzare questa figura, rendendola uguale agli altri capi di governo dei nostri partner europei. Perche’ quando il consiglio dei capi di stato e di governo prende decisioni sempre piu’ vincolanti e’ chiaro che non puoi avere un presidente del Consiglio che non ha strumenti per porli in essere’.
Peraltro abbiamo il paradosso di governi fragili a fronte di un Parlamento a sua volta debole, ormai diventato un luogo di ratifica delle scelte del governo.
‘Esattamente, perche’ si basa su due reciproche fragilita’. Il Parlamento e’ infragilito perche’ non esistono piu’ partiti di massa e perche’, nonostante la modifica del titolo V della Costituzione che da’ alle regioni piu’ competenze, i rappresentanti delle regioni non entrano nel bicameralismo nazionale. Invece, se rafforziamo il presidente del governo in uno schema di premierato, possiamo anche definire meglio il rapporto tra esecutivo e parlamento, che finalmente potrebbe esercitare un ruolo vero. E poi – fatto non da poco – riusciremmo a mantenere pure la figura di garanzia del presidente della Repubblica’ (di Alessandro Di Matteo) Adm/Int13
Clementi: la grande riforma serve, no al modello Usa
Roma, 17 gen. (askanews) – La riforma della Costituzione e’ una ‘necessita” e dunque e’ ‘importante’ l’iniziativa del governo sul presidenzialismo, ma per evitare che il progetto fallisca come i precedenti tentativi di ‘grande riforma’ sarebbe bene partire dalle criticita’ del sistema italiano e non dalle soluzioni, tenendo conto per esempio che il presidenzialismo vero e proprio, come quello degli Usa, non sarebbe adatto all’Italia. Francesco Clementi, professore ordinario di Diritto pubblico comparato all’universita’ ‘La Sapienza’ di Roma, spiega ad Askanews perche’, a suo giudizio, sarebbe piu’ opportuno iniziare mettendo a fuoco i problemi da risolvere: rivedere il bicameralismo, garantendo una rappresentanza anche alle regioni; rafforzare il governo, con uno schema tipo premierato o con un sistema semipresidenziale; ridefinire in maniera organica il sistema della ripartizione delle competenze tra stato e regioni, finora articolato in maniera piuttosto estemporanea.
Ma quindi e’ giusto partire dal presidenzialismo come fa il governo? ‘Ormai davvero pochi negano la necessita’ di riformare la seconda parte della Costituzione. La ripresa del dibattito sulle riforme e’ una notizia importante e utile. Fa benissimo la ministra Casellati a fare un percorso esplorativo tra le forze politiche.
Lei parte dal merito – il presidenzialismo – ma sarebbe importante partire dal metodo: quanto le forze politiche sono disposte a scommettere per produrre una decisione? Non c’e’ soluzione se prima le forze politiche non si esprimono con fiducia reciproca: la grande riforma e’ fallita perche’ e’ fallita la fiducia reciproca, hanno usato le riforme come un mezzo e non come un fine’.
Forse la fiducia reciproca manca perche’ di volta in volta si sospetta che chi prende l’iniziativa sia guidato da un interesse di parte, o dalla necessita’ di fare delle riforme un’arma di propaganda, anziche’ dalla volonta’ di migliorare le istituzioni. In questo senso il presidenzialismo sicuramente spaventa la sinistra, per esempioa’ ‘Infatti il tema e’ che il giusto percorso di ascolto deve svolgersi a partire da alcuni elementi sintetici di accordo politico, che non possono partire da una posizione gia’ predefinita. Si puo’ partire dal presidenzialismo ma non si puo’ finire con una decisione sul presidenzialismo. La parola presidenzialismo e’ un ‘passe-partout’ per ragionare assieme partendo dai problemi e non dalle soluzioni. Nel mondo ci possono essere tanti modelli, ma per l’Italia c’e’ una soluzione adatta.
Per questo dico di partire misurando la disponibilita’ delle forze politiche, anche perche’ nel 2024 abbiamo le europee, e non saranno elezioni normali, sara’ un voto molto delicato. Quanto incidera’ su un potenziale accordo politico?’.
Tra i problemi da risolvere pero’ c’e’ sicuramente quello della fragilita’ dei governi.
‘Il paese ha notevoli problemi, ne cito tre: il primo e’ la ristrutturazione del Parlamento alla luce della riduzione dei parlamentari. E’ una riforma incompiuta. Abbiamo la prova provata che questo bicameralismo non funziona piu’ nel momento in cui la legge di bilancio viene approvata con schema monocamerale (cioe’ imponendo ad una delle due Camere di approvare senza modifiche il testo votato dall’altro ramo del Parlamento, ndr). Poi, le autonomie non sono parte della rappresentanza nella seconda camera, eppure sono decisive, pensiamo solo alla gestione della sanita’. C’e’ il sistema della Conferenza Stato-Regioni, che pero’ non esiste in Costituzione e non vi e’ per i cittadini alcuno strumento di controllo su cosa accade in quella sede. Questo e’ un grandissimo difetto democratico su come le politiche pubbliche vergono articolate. In secondo luogo, abbiamo una debolezza strutturale del governo e della figura del presidente del Consiglio, rispetto agli altri partner europei. Non parlo solo rispetto al semipresidenzialismo francese, penso anche al primo ministro britannico o al presidente del governo spagnolo. Infine, c’e’ la riforma delle competenze tra stato e regioni, un percorso di autonomia differenziata che negli anni e’ stato lasciato crescere. Questi tre punti ci pongono la necessita’ di una grande riforma’.
E quale forma di governo sarebbe piu’ adatta alla situazione italiana? ‘Partendo da questi problemi, si puo’ immaginare un accordo preventivo tra le forze politiche che escluda alcune soluzioni.
La forma da escludere e’ esattamente quella presidenziale (tipo, Usa, ndr): prevede una rigida separazione dei poteri e al tempo stesso presuppone un’omogeneita’ sociale e assenza di conflitto sociale. Invece siamo in un tempo storico nel quale le societa’ sono sempre piu’ disomogenee, particolarmente complicate da gestire. E’ un sistema che prevede il conflitto tra le istituzioni, perche’ questo prevede il sistema presidenziale. C’e’ una bellissima frase di James Madison (costituente Usa ad inizio ‘800, ndr) : ‘Vogliamo costruire un sistema istituzionale nel quale ad una ambizione contrasta un’altra ambizione’. Noi non ce lo possiamo permettere. Inoltre, in Italia verrebbe ad esserci un’eccessiva semplificazione cancellando il ‘motore di riserva’ che ha tenuto in piedi il sistema: il presidente della Repubblica, che qui e’ elemento di stabilizzazione, reggitore dello stato nei momenti di crisi. Un ruolo fondamentale per un sistema in cui i grandi partiti di massa sono andati in crisi. Io dico: prima la parola presidenzialismo esce come opzione reale e concreta e prima si dimostra che le riforme si vuole farle davvero. Il presidenzialismo e’ un tema lessicale: il punto e’ rendere il cittadino arbitro della decisione’.
La premier Giorgia Meloni ha parlato di semipresidenzialismo, come base di ragionamentoa’ ‘Abbiamo due grandi opzioni. O il semipresidenzialismo o l’opzione del premierato. Il premierato puo’ essere elettivo o no, ma quello elettivo e’ stato provato solo in Israele e ha fallito perche’ troppo rigido e perche’ collegato pure con una legge elettorale proporzionale. Nel premierato il presidente del Consiglio si trasforma in presidente del governo. Questo avviene non tramite una elezione diretta ma tramite legittimazione diretta: l’elettore sa, nel momento in cui vota, che il leader del partito o della coalizione che vince e’ il candidato naturale alla premiership. E’ una ‘spinta gentile’ verso questa direzione: come accade nel trattato europeo, dove si dice che il presidente della commissione e’ nominato ‘tenuto conto dei risultati elettorali’. Non si puo’ prescindere dal risultato del voto’.
Con il maggioritario in Italia, di fatto, gia’ accadeva. Non puo’ bastare un intervento sulla legge elettorale? ‘No, non basta. Primo perche’ e’ una legge ordinaria, dunque transeunte: puo’ cambiare, e’ troppo debole come strumento giuridico. Serve certamente una legge elettorale che assicuri una maggioranza politica, ma servono anche riforme costituzionali ben precise. Sarebbe opportuno per esempio che oltre alla nomina ci fosse anche la revoca dei ministri, e la fiducia al solo presidente del governo, magari a Camere congiunte. E che si lavori intorno ai poteri di sfiducia e di scioglimento. Oggi presidente del Consiglio e’ un ‘primus inter pares’, serve una figura che abbia un ruolo decisivo e decidente. Lo statuto albertino neanche lo prevedeva il presidente del Consiglio.
Dunque, il cammino e’ stato lungo per l’emersione di questo ruolo nell’Italia unita. Ma oggi che c’e’ la Repubblica, a 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, dobbiamo europeizzare questa figura, rendendola uguale agli altri capi di governo dei nostri partner europei. Perche’ quando il consiglio dei capi di stato e di governo prende decisioni sempre piu’ vincolanti e’ chiaro che non puoi avere un presidente del Consiglio che non ha strumenti per porli in essere’.
Peraltro abbiamo il paradosso di governi fragili a fronte di un Parlamento a sua volta debole, ormai diventato un luogo di ratifica delle scelte del governo.
‘Esattamente, perche’ si basa su due reciproche fragilita’. Il Parlamento e’ infragilito perche’ non esistono piu’ partiti di massa e perche’, nonostante la modifica del titolo V della Costituzione che da’ alle regioni piu’ competenze, i rappresentanti delle regioni non entrano nel bicameralismo nazionale. Invece, se rafforziamo il presidente del governo in uno schema di premierato, possiamo anche definire meglio il rapporto tra esecutivo e parlamento, che finalmente potrebbe esercitare un ruolo vero. E poi – fatto non da poco – riusciremmo a mantenere pure la figura di garanzia del presidente della Repubblica’ (di Alessandro Di Matteo) Adm/Int13