Alla Festa di Roma il documentario su Raffaele Minichiello
Roma, 21 ott. (askanews) – Alex Infascelli due anni fa porto’ in anteprima alla Festa del cinema Roma “Mi chiamo Francesco Totti”, con cui vinse poi il Nastro d’argento e il David di Donatello, e quest’anno e’ tornato per presentare “Kill me if you can”, che verra’ distribuito nei cinema a febbraio da Wanted Cinema. Racconta l’incredibile storia di Raffaele Minichiello, emigrato dall’Irpinia negli Stati Uniti, che a 18 anni si arruolo’ per andare a combattere in Vietnam. Al suo ritorno, come molti reduci, si senti’ tradito dall’esercito e dallo Stato americano e il 31 ottobre del 1969 decise di dirottare un jet della TWA in partenza da Los Angeles e diretto a San Francisco, destinazione finale: Roma. Ma quello fu solo l’inizio della sua incredibile storia: in Italia sconto’ solo un breve periodo di detenzione, mentre gli Stati Uniti ne chiedevano l’estradizione, e inizio’ un’altra vita, fatta di mille avventure, terribili disgrazie e alcuni misteri.
Infascelli ha presentato il film insieme al protagonista del documentario che, nel frattempo, ha ottenuto la grazia dallo Stato americano. Il regista spiega: “Mentre arrivavano i materiali che pian piano venivano fuori sulla vita di Raffaele mi accorgevo che sullo sfondo, ogni volta, c’era il mondo. C’era l’Italia, c’era il mondo fuori dall’Italia, e quindi si intravedeva la politica, il costume, e mai mi era accaduto di poter avere un ventaglio narrativo e temporale, un prisma interpretativo cosi’ immenso, perche’ era una fotografia di un mondo che non c’e’ piu'”.
Minichiello ha attraversato e toccato i grandi eventi del secondo Novecento: dal terremoto, alla guerra, al terrorismo. Ed e’ stato protagonista anche di alcuni paradossi della storia: non fu considerato certo un eroe quando torno’ dal Vietnam, ma in qualche modo lo divenne dopo il dirottamento. E oggi spiega:
“Non mi sono mai sentito un eroe per quello che ho fatto, in Vietnam invece ho fatto qualcosa di piu’, e purtroppo. Ma io prima di andare in Vietnam credevo nelle istituzioni degli Stati Uniti, nella bandiera, e’ un grande Paese gli Stati Uniti, e quella bandiera per me rimane una cosa importante”.
E a proposito di quella bandiera americana che sul manifesto di “Kill me if you can” appare scura, in ombra, Infascelli dice: “Raffaele mi ha detto: perche’ non hai messo le stelle? E io credo che questo sia un momento storico in cui le stelle non si vedono, da nessuna parte. Ci auguriamo di poter tornare a vederle”.
“Kill me if you can”, Infascelli nei misteri del dirottatore-eroe
Roma, 21 ott. (askanews) – Alex Infascelli due anni fa porto’ in anteprima alla Festa del cinema Roma “Mi chiamo Francesco Totti”, con cui vinse poi il Nastro d’argento e il David di Donatello, e quest’anno e’ tornato per presentare “Kill me if you can”, che verra’ distribuito nei cinema a febbraio da Wanted Cinema. Racconta l’incredibile storia di Raffaele Minichiello, emigrato dall’Irpinia negli Stati Uniti, che a 18 anni si arruolo’ per andare a combattere in Vietnam. Al suo ritorno, come molti reduci, si senti’ tradito dall’esercito e dallo Stato americano e il 31 ottobre del 1969 decise di dirottare un jet della TWA in partenza da Los Angeles e diretto a San Francisco, destinazione finale: Roma. Ma quello fu solo l’inizio della sua incredibile storia: in Italia sconto’ solo un breve periodo di detenzione, mentre gli Stati Uniti ne chiedevano l’estradizione, e inizio’ un’altra vita, fatta di mille avventure, terribili disgrazie e alcuni misteri.
Infascelli ha presentato il film insieme al protagonista del documentario che, nel frattempo, ha ottenuto la grazia dallo Stato americano. Il regista spiega: “Mentre arrivavano i materiali che pian piano venivano fuori sulla vita di Raffaele mi accorgevo che sullo sfondo, ogni volta, c’era il mondo. C’era l’Italia, c’era il mondo fuori dall’Italia, e quindi si intravedeva la politica, il costume, e mai mi era accaduto di poter avere un ventaglio narrativo e temporale, un prisma interpretativo cosi’ immenso, perche’ era una fotografia di un mondo che non c’e’ piu'”.
Minichiello ha attraversato e toccato i grandi eventi del secondo Novecento: dal terremoto, alla guerra, al terrorismo. Ed e’ stato protagonista anche di alcuni paradossi della storia: non fu considerato certo un eroe quando torno’ dal Vietnam, ma in qualche modo lo divenne dopo il dirottamento. E oggi spiega:
“Non mi sono mai sentito un eroe per quello che ho fatto, in Vietnam invece ho fatto qualcosa di piu’, e purtroppo. Ma io prima di andare in Vietnam credevo nelle istituzioni degli Stati Uniti, nella bandiera, e’ un grande Paese gli Stati Uniti, e quella bandiera per me rimane una cosa importante”.
E a proposito di quella bandiera americana che sul manifesto di “Kill me if you can” appare scura, in ombra, Infascelli dice: “Raffaele mi ha detto: perche’ non hai messo le stelle? E io credo che questo sia un momento storico in cui le stelle non si vedono, da nessuna parte. Ci auguriamo di poter tornare a vederle”.