Dopo 5 anni cresce l’ostilità verso i Rohingya in Bangladesh – askanews.it

Dopo 5 anni cresce l’ostilità verso i Rohingya in Bangladesh

Milano, 20 ott. (askanews) – Fra le strade dei campi profughi in Bangladesh in cui si sono rifugiati i Rohingya, la vita e’ cambiata molto a 5 anni dalla fuga della minoranza islamica dalla repressione dell’esercito in Myanmar (Birmania). Nel 2017 il Bangladesh, a maggioranza musulmana, ha accolto a braccia aperte decine di migliaia delle 750mila persone in fuga, con cibo, denaro, medicine; ma 5 anni dopo il governo di Dacca non e’ riuscito a negoziare un accordo per un ritorno, il malumore nell’opinione pubblica aumenta e le condizioni precarie dei rifugiati non migliorano. "I media e i giornali locali scrivono notizie false contro l’intera comunita’ Rohingya – racconta Abdul Mannan, rifugiato – Nessuno dovrebbe etichettare i Rohingya come una minaccia. Tutte le dita non sono uguali. Su un milione di Rohingya solo una manciata puo’ esserlo, ma non giustifica definire l’intera comunita’ criminale. Ci ferisce il modo in cui veniamo ritratti". Politici e media li descrivono come una minaccia per la sicurezza pubblica, li chiamano "terroristi" e "trafficanti di droga". Tanto che qualcuno comincia a pensare ad un ritorno in patria, seppur molto rischioso. Mohammad Shafi e’ il leader della comunita’ Rohingya. "Abbiamo lasciato la nostra casa in Myanmar e siamo venuti qui a vivere come rifugiati con uno stress enorme solo perche’ non potevamo resistere all’oppressione. Se dobbiamo affrontare un trattamento simile anche qui, e’ una grande perdita per la comunita’. Non vogliamo vivere in un’atmosfera cosi’ ostile".
Ott 20, 2022
Aumenta malumore opinione pubblica, peggiorano le loro condizioni

Milano, 20 ott. (askanews) – Fra le strade dei campi profughi in Bangladesh in cui si sono rifugiati i Rohingya, la vita e’ cambiata molto a 5 anni dalla fuga della minoranza islamica dalla repressione dell’esercito in Myanmar (Birmania).

Nel 2017 il Bangladesh, a maggioranza musulmana, ha accolto a braccia aperte decine di migliaia delle 750mila persone in fuga, con cibo, denaro, medicine; ma 5 anni dopo il governo di Dacca non e’ riuscito a negoziare un accordo per un ritorno, il malumore nell’opinione pubblica aumenta e le condizioni precarie dei rifugiati non migliorano.

"I media e i giornali locali scrivono notizie false contro l’intera comunita’ Rohingya – racconta Abdul Mannan, rifugiato – Nessuno dovrebbe etichettare i Rohingya come una minaccia. Tutte le dita non sono uguali. Su un milione di Rohingya solo una manciata puo’ esserlo, ma non giustifica definire l’intera comunita’ criminale. Ci ferisce il modo in cui veniamo ritratti".

Politici e media li descrivono come una minaccia per la sicurezza pubblica, li chiamano "terroristi" e "trafficanti di droga". Tanto che qualcuno comincia a pensare ad un ritorno in patria, seppur molto rischioso. Mohammad Shafi e’ il leader della comunita’ Rohingya.

"Abbiamo lasciato la nostra casa in Myanmar e siamo venuti qui a vivere come rifugiati con uno stress enorme solo perche’ non potevamo resistere all’oppressione. Se dobbiamo affrontare un trattamento simile anche qui, e’ una grande perdita per la comunita’. Non vogliamo vivere in un’atmosfera cosi’ ostile".