Roma, 4 dic. (askanews) – Solo elezioni libere, eque e inclusive saranno in grado di garantire legittimità alle istituzioni della Libia e favorire il processo di stabilizzazione avviato con il cessate il fuoco dell’ottobre 2020, nonostante le divergenze interne sulla legge elettorale e l’assenza di una ben definita base costituzionale. Questa l’opinione emersa nei vari fora di dibattito che si sono tenuti ieri e oggi nell’ambito della settima edizione dei Med Dialogues organizzati da Ispi e Farnesina.
Già nell’intervento di apertura dei lavori, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato che solo un processo “a guida libica” potrà portare alla stabilizzazione del Paese e perchè questo sia possibile il primo passo sono elezioni “libere, eque, credibili e inclusive”. Perchè “soltanto così le istituzioni libiche risulteranno solide e legittimate democraticamente”, facilitando “il processo di ritiro dei mercenari e dei combattenti stranieri” previsto dal cessate il fuoco del 2020, ma ancora rimasto sulla carta.
“Le elezioni non sono una bacchetta magica, ma portano legittimità”, ha detto a sua volta oggi il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell ai Med Dialogues di Roma, riconoscendo la difficoltà di tenere il voto in un Paese ancora segnato da “grandi divisioni”.
Anche secondo l’ex inviato Onu facente funzioni per la Libia, l’americana Stephanie Williams, “la Libia ha una crisi di legittimità a cui si può rimediare con un processo elettorale libero ed equo”. Per questo motivo, a suo giudizio, “gli Stati Uniti ritengono necessarie le elezioni”, giudicate “parte della soluzione e non del problema”. Fu Williams a guidare il negoziato tra le parti in conflitto per la tregua del 2020 e per la nascita dell’attuale governo di unità nazionale libico. E oggi, dopo le improvvise dimissioni annunciate a un mese dal voto dall’attuale inviato Onu, Jan Kubis, fonti diplomatiche hanno riferito a Foreign Policy che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, starebbe valutando di affidarle nuovamente l’incarico.
Interpellato dalla stampa sui rischi posti dal voto in un Paese ancora lacerato da divisioni, inasprite negli ultimi mesi da una legge elettorale approvata dal solo parlamento di Tobruk, senza il consenso del Consiglio sovrano di Tripoli, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha prima rimarcato che “è il popolo libico a volere le elezioni, come dimostrano i numeri degli elettori che si sono iscritti al voto, e questo vuol dire che in questo momento le elezioni sono la linfa per garantire la transizione democratica della Libia”. Quindi ha aggiunto: “l’inclusività sarà il fattore di successo di queste elezioni e il dopo elezioni si costruisce adesso, con elezioni libere, trasparenti e inclusive”.
La lista definitiva dei candidati alle presidenziali è attesa la prossima settimana. Tra quanti si sono registrati figurano il secondogenito di Muammar Gheddafi, Saif al-Islam, il generale Khalifa Haftar, l’attuale presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk Aguila Saleh, il premier Abdul Hamid Dbeibah, l’ex ministro della Difesa Fathi Bashaga, e l’ex vice premier Ahmed Maitig. Dopo essere stati inizialmente esclusi dalla corsa, Saif Gheddafi e Dbeibah sono stati riammessi, mentre è ancora in corso l’istruttoria sulla candidatura di Haftar, bloccata ad oggi da una corte della città di Zawiya.
Ai Med Dialogues è mancata una voce libica sulle prossime elezioni: prevista inizialmente la partecipazione del premier Dbeibah, è stata poi annullata. A rappresentare la Libia in videocollegamento è stata la ministra degli Esteri Najla Al Mangoush, ma in un dibattito sulla gestione dei flussi migratori, nel corso del quale ha lanciato un duro attacco contro le “soluzioni superficiali” date finora alla questione, che “non affrontano le cause del problema” e che sono servite solo a “fare gli interessi dei Paesi Ue”.
“Per favore, smettetela di puntare il dito contro la Libia e di dipingerci come un Paese che abusa e manca di rispetto ai rifugiati”, ha detto la ministra, ricordando poi il recente naufragio avvenuto nella Manica, in cui hanno perso la vita 27 migranti: “Se due dei Paesi più stabili e che usano le tecnologie più evolute per controllare i loro confini non riescono a controllare la migrazione irregolare, come possiamo farlo noi?”. (di Simona Salvi)